Il paese è in crisi e il governo, mentre si appella alla responsabilità, tutela Enel Spa, principessa della speculazione.
di Flavio Stasi
(http://resistente.noblogs.org)
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INDICE
1. Questione di responsabilità nazionale
2. Enel e Governo: storia di una violazione continua
3. Cosa prevede la Finanziaria 2011?
4. Questa norma può riguardare la centrale di Rossano?
5. Conclusioni: gli speculatori hanno amici nei governi, ma non sui territori
Appendice A: Riferimenti Legilsativi
Questione di responsabilità nazionale
Sono giorni concitati per l’economia italiana. La speculazione dei mercati in atto sta mettendo a dura prova il sistema economico e bancario del paese, e lo stress finanziario contagia i titoli in borsa in pesante ribasso. Si potrebbe disquisire per mesi a proposito della modalità con cui il mercato finanziario, in regime liberista, fa tremare milioni di famiglie e cittadini dei ceti bassi e medi, senza che questi abbiano fatto nulla se non lavorare duramente e quotidianamente per il proprio sostentamento alle condizioni imposte dal mercato stesso.
Fatto sta che il disequilibrio finanziario di queste settimane ha imposto una manovra che si avvalerà, tipicamente, di sacrifici della popolazione: dalla sanità (ticket) ai lavoratori del pubblico impiego (blocco dei contratti), dagli enti locali (tagli a comuni, provincie, regioni) alle pensioni (innalzamento dell’età pensionabile). In un clima frenetico ed impaurito, con i mercati fuori controllo, il fiato del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Centrale Europea sul collo, in sole otto ore di discussione alla camera, agevolata anche dalla cosiddetta “opposizione”, si è approvata una finanziaria record da 70 miliardi di euro. Il Governo ha dunque fatto appello al senso di responsabilità, in una situazione drammatica ed emergenziale, per limitare al minimo polemiche e discussioni. Anche il Presidente della Repubblica si è appellato alla politica ed addirittura alla stampa, per mantenere un atteggiamento responsabile a tutela della stabilità nazionale.
Ed in questo clima di solenne responsabilità il Governo decide di inserire, tra una misura di austerità e l’altra, una norma scritta appositamente per gli interessi di Enel Spa (per intenderci non una società pubblica ma una multinazionale che fattura 5 miliardi di euro l’anno) e che danneggia territori ed il settore delle fonti rinnovabili.
Non una norma generale di sviluppo, di programmazione e di pianificazione energetica, tutte cose di cui il nostro paese ha bisogno, ma una norma che riguarda in sostanza due centrali termoelettriche (Porto Tolle in provincia di Rovigo e Rossano in provincia di Cosenza) ed una sola fonte energetica, una tra quelle più inquinanti e obsolete in assoluto: il carbone.
Allo stesso tempo si tratta di una norma dal significato molto molto semplice. In sintesi: se c’è un progetto di riconversione per una centrale ad olio combustibile e se la fonte scelta per tale riconversione è il carbone, si agisce senza tener conto di norme di tutela di un territorio, senza confrontare il progetto con possibili alternative, senza considerare norme regionali o locali. Appare evidente che l’intenzione è quella di permettere ad Enel ed al Governo di imporre dall’alto riconversioni a carbone ignorando ogni istituto democratico posto a tutela dei cittadini.
Come accadde a Rossano negli anni ’70, quando le istanze territoriali vennero letteralmente usurpate dal commissario prefettizio, si vorrebbe imporre a tutta la sibaritide un altro disastro ambientale, dopo aver visto il proprio sviluppo turistico ed agricolo piegato per quarant’anni da due ciminiere d’amianto nel bel mezzo del golfo. In pochi daranno risalto ai commi 8 e 9 dell’articolo 35 di questa epocale finanziaria, e lo sdegno per questa vergognosa norma sarà sovrastato dall’assordante silenzio imposto dalla “responsabilità nazionale”. Eppure nei desideri di speculatori energetici e faccendieri di governo, questa norma rappresenterebbe comunque una svolta epocale per i due territori in questione, ovvero l’affossamento definitivo di ogni prospettiva di sviluppo. Una norma che con la pressione finanziaria, col debito pubblico e con gli indici di borsa non ha nulla a che fare, alla faccia della tanto sventolata responsabilità.
Enel e Governo: storia di una violazione continua
Quello dell’articolo 35 della finanziaria 2011 è solo l’ultimo di una lunga serie di tentativi del Governo di aggirare le norme in materia energetica per imporre centrali mega-inquinanti ai territori, in particolare a carbone. Si tratta, di fatto, di una vera e propria azione eversiva nei confronti di norme di tutela sanitaria ed ambientale, di norme ed istituzioni territoriali, di sentenze del Consiglio di Stato, della Corte Costituzionale, persino di direttive della comunità europea. Vediamo alcuni esempi.
In data 1 Luglio 2009, il Governo emanava il DL 78/2009, cosiddetto “Salva Centrali”. Con questo provvedimento il Governo conferiva al Consiglio dei Ministri, quindi a se stesso, poteri straordinari per quanto riguarda interventi nel settore energetico (produzione e distribuzione di energia) giudicati di particolare urgenza. In pratica il governo istituiva un vero e proprio commissariamento del settore energia, accentrando su se stesso ogni potere di decisione finale per quanto riguarda costruzione di centrali, riconversioni, costruzione di elettrodotti eccetera.
Il decreto salva centrali è stato giudicato incostituzionale dalla Corte Costituzionale il 18 Giugno 2010.
Appena un mese prima, il 30 Aprile 2010, il Consiglio dei Ministri approvava un provvedimento con cui si sono concesse quote di emissione di CO2 gratuite alle centrali di nuova costruzione. Le norme europee per limitare le emissioni di anidride carbonica prevedono un principio semplicissimo: più inquini, più paghi. Ad ogni stato nazionale viene delegata la gestione delle quote di CO2 da assegnare alle aziende, ed eventualmente far pagare ai privati il proprio inquinamento mediante un Piano di Assegnazione Nazionale (PNA). Cosa significa concedere quote gratuite? Semplice: agire ignorando le tabelle del PNA, permettendo ad Enel e Sorgenia di non pagare un euro. Per le emissioni delle nuove centrali il conto dell’Unione Europea lo pagherà lo stato, ovviamente coi soldi nostri.
Lo stesso articolo 35 della Finanziaria 2011, oggetto di questo documento, non è altro che un emendamento ad una legge emanata da questa stessa maggioranza nell’aprile 2009. Si tratta della legge di conversione del decreto legislativo 5/2009, uno dei tanti “decreti insalata” (elegantemente chiamati “omnibus”) emanati da questo governo, senza nulla togliere alle insalate dei governi precedenti. In questo decreto vengono trattati dagli immobili agli elettrodomestici. Specialità di questo Governo è poi quella di modificare questi stessi decreti quando vengono convertiti in legge: il titolo del decreto 5/2009 era “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi “, mentre la legge di conversione relativa, numero 33/2009, recita “Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi, nonchè disposizioni in materia di produzione lattiera e rateizzazione del debito nel settore lattiero-caseario “.
La costruzione di centrali a carbone deve far parte, secondo il Governo, del tema “produzione lattiera” dal momento che nella legge compare un articolo 5 bis che recita: «Per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile [..] al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o
altro combustibile solido , si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale , purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti [..] ». Per chi non lo sapesse, procedere in deroga vuol dire, in pratica, ignorare una norma. Ignorare delle limitazioni, di qualsiasi tipo, emanate per lo sviluppo di un territorio e per l’interesse della collettività, non ha alcuna giustificazione, eppure lo si fa continuamente, spesso proprio per questioni sanitarie ed ambientali ed utilizzando l’espediente dell’emergenza: si pensi al Commissariamento all’Emergenza Rifiuti in Calabria.
Sembra un testo scritto appositamente per aggirare la legge costitutiva del Parco del Delta del Po, in cui ricade il territorio della centrale di Porto Tolle, che esclude l’installazione di impianti inquinanti come quelle a Carbone.
Infatti, sulla base della deroga concessa dalla legge 33/2009, il ministero dell’Ambiente rilasciava la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) necessaria per l’avvio dei lavori di costruzione, ritenendo quindi non necessario considerare le varie normative di tutela del territorio e non effettuando nessuna comparazione con possibili progetti alternativi rispetto a quello presentato da Enel.
Già il 22 Luglio 2010 la Corte Costituzionale emanava una sentenza che, pur non dichiarando incostituzionale la 33/2009, limita la deroga a quelle leggi che impediscono specificatamente la realizzazione di un impianto e che non consentono possibilità alternative.
La VIA veniva successivamente giudicata illegittima, quindi annullata, dal Consiglio Di Stato, con sentenza del 23 Maggio 2011, proprio perché la legge di costituzione del Parco del Po non impedisce la costruzione di un impianto, bensì esprime una preferenza sulle fonti energetiche da adottare (piena facoltà delle regioni) ed offre delle opportune alternative: fonti che avessero impatto ambientale uguale o inferiore a quello del gas metano.
Da considerare, inoltre, che le normali mansioni della Commissione VIA prevedono un confronto reale tra il progetto in esame e le possibili alternative, necessità resa ancora più stringente dalla norma relativa al Parco del Po. Nonostante questo la commissione VIA ha deciso di ignorare deliberatamente ogni confronto possibile. Per completezza di informazione, la Procura di Rovigo ha aperto un’inchiesta sul tentativo di autorizzazione della riconversione, ipotizzando reati di falso ideologico da parte di Enel e di accomodamento da parte di alcuni membri della commissione.
Cosa prevede la Finanziaria 2011
Arriviamo all’oggi. I commi 8 e 9 dell’articolo 35 della manovra finanziaria 2011 intendono rispondere, di fatto, alla sentenza del Consiglio di Stato, quasi come se questo rappresentasse una controparte politica dell’esecutivo.
L’emendamento in finanziaria aggiunge alla legge 33/2009, descritta sopra, la possibilità di applicare la deroga non solo alle norme che impediscono riconversione di un impianto a carbone, ma anche a norme che «condizionino o limitino la suddetta riconversione, obbligando alla comparazione, sotto il profilo dell’impatto ambientale, fra combustibili diversi o imponendo specifici vincoli all’utilizzo dei combustibili ». Sembra che il Governo intenda arrivare al punto che se si tratta di riconversione a Carbone allora è opportuno non fare nulla ed avviare immediatamente i lavori. Di certo inserire questa norma all’interno di questa delicata manovra finanziaria significa voler proteggere ormai sfacciatamente, speculando sulla paura del crac finanziario, gli interessi di Enel Spa.
Questa norma può riguardare la centrale di Rossano?
I massimi dirigenti di Enel Spa lanciano segnali accomodanti nei confronti di quei rappresentati istituzionali che stanno manifestando preoccupazione per questa norma (tra cui annoveriamo persino parlamentari della maggioranza di governo).
È bene specificare che questa vergognosa norma potrebbe riguardare anche il progetto di riconversione della centrale di Rossano, agendo in deroga al Piano Energetico Ambientale Regionale ed al Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, i quali escludono il carbone come fonte possibile per impianti di produzione energetica in quanto incompatibile con lo sviluppo e le vocazioni del territorio. Non solo: in data 15 Novembre 2010 il Consiglio Regionale della Calabria, mediante apposito ordine del giorno, ha ribadito la propria contrarietà all’utilizzo del carbone sul territorio regionale, unendosi alle delibere dei comuni di Rossano, di Corigliano e di numerosi altri comuni della sibaritide, nonché alla contrarietà espressa a piena voce dalle associazioni degli operatori turistici, le associazioni degli agricoltori, le cooperative della pesca, gli enti culturali e tutta una ampia fetta di società civile. Ma probabilmente gli interessi di Enel Spa sono più importanti.
Come detto i dirigenti di Enel tentano di far passare la manovra, orchestrata ad arte, in secondo piano, tranquillizzando la popolazione della Sibaritide e tentando di fare appello a quella “scarsa capacità di reazione” con cui gli analisti delle industrie ci descrivono. In realtà proprio durante la stesura del presente documento, quindi in data 18 Luglio 2011, sul sito di Enel compare un articolo da titolo “Europa, ora carbone pulito e rinnovabili”. Va sempre ribadito che la definizione “carbone pulito” è falsa e ideologica, paradossale, ossimorica: la combustione del carbone produce emissioni di mercurio, arsenico, cadmio, cromo e altre particelle dannose per la salute umana, per non parlare delle polveri ultra fini per cui non esiste al momento un filtro efficace. Accostare inoltre il carbone alle fonti rinnovabili è altrettanto ingannevole: non solo il carbone è non è una fonte rinnovabile, ma come i derivati del petrolio, esso arriva da paesi terzi e mediante costosi, inquinanti e pericolosi viaggi in mare. Ad ogni modo, nella sequela di “sviste” che contraddistingue questo articolo, ad un certo punto si sostiene che: «Il carbone a oggi è oltre il 30% e su questo fronte l’azienda può già contare su progetti come Torrevaldaliga Nord a Civitavecchia, dove il carbone pulito è già una realtà, e sui progetti di riconversione che riguardano gli impianti di Rossano Calabro e Porto Tolle.». Sembra che ormai la definizione “scarsa capacità di reazione” stia stretta agli abitanti della sibaritide, probabilmente ci credono completamente imbecilli.
Conclusioni: gli speculatori hanno amici nei governi, ma non sui territori
Quando i cittadini si relazionano con colossi finanziari, soprattutto nel campo dell’energia, devono aspettarsi di tutto. Il territorio calabrese è costernato di ferite provocate da questi speculatori, i quali agiscono esclusivamente per perseguire i propri profitti senza alcun riguardo per i cittadini, per cui sarebbe ingenuo stupirsi di questa manovra o pensare che si tratti dell’ultimo coniglio tirato fuori dal cilindro. È bene che le istituzioni locali vigilino sul rispetto della volontà popolare, ben più importante della disciplina di partito, e non è un caso che nelle ultime elezioni comunali di Rossano nessuno dei candidati abbia osato non mettere nel programma il no al carbone. Ma siamo noi cittadini ad essere i veri guardiani del nostro territorio e dei nostri interessi. Da questo punto di vista, speculatori e faccendieri possono agire in deroga alle leggi, ma in ultima istanza non possono agire in “deroga” alla volontà popolare. Ecco perché questi soggetti possono mettersi l’anima in pace: i cittadini della Sibaritide hanno già dato il proprio contributo al paese per quarant’anni, pagando in termini di salute, di economia, di sviluppo senza ottenere nulla in cambio se non la presa in giro di qualche rappresentante istituzionale e le promesse mai mantenute di Enel, a cui non abboccheremo più. Difenderemo con tutte le nostre forze il territorio, con tutti gli strumenti messi a disposizione dall’ordinamento democratico e se necessario anche coi nostri corpi.
Ma non si tratta soltanto di rigettare la riconversione a carbone. Abbiamo tutta l’intenzione di vedere restituito il nostro territorio ed accettare solo soluzioni in linea con la sua vocazione turistica ed agricola, tutelare i lavoratori dell’impianto e dell’indotto attraverso soluzioni virtuose e non ricatti, nonché andare a fondo sui danni che l’impianto e l’elettrodotto hanno provocato in questi anni.
19 Luglio 2011
Appendice A: Riferimenti legislativi
A.1. Legge di conversione n. 33, 9 aprile 2009, articolo 5 bis, comma 1
“Riconversione di impianti di produzione di energia elettrica “
1. Per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purche’ la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.
A.2. Sentenza del Consiglio Di Stato, 23 Maggio 2011, stralcio
4. Passando, quindi, al merito, ritiene il Collegio di muovere dall’esame dei motivi di ricorso con cui si lamenta l’inadeguatezza della “valutazione delle alternative di progetto”.
4.1. Giova prendere le mosse dalla ricostruzione dello specifico quadro normativo di riferimento.
L’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, dispone che “Nell’ambito dell’intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….:
a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
La disposizione regionale citata, dettata in considerazione della specificità del territorio preso in considerazione e con un’evidente finalità quindi di protezione ambientale, nell’esercizio anche della competenza legislativa regionale in materia di “produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia” (art. 117 co. 3, Cost.), senza certo prescrivere in via esclusiva l’alimentazione a gas metano degli impianti di produzione di energia elettrica realizzabili, esprime una sicura opzione legislativa di preferibilità per gli impianti per l’appunto alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate “fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Perché quindi -in applicazione della citata disposizione adottata dal legislatore della Regione Veneto- possa essere espressa una valutazione positiva di compatibilità ambientale di un impianto di produzione di energia elettrica diversamente alimentato è necessaria una quanto mai accurata istruttoria volta a comparare sul piano tecnico ed in concreto l’impatto ambientale potenzialmente correlato al funzionamento della centrale proposta con quello sempre potenzialmente derivante dall’esercizio di impianti che, a parità di energia prodotta, siano tuttavia alimentati a gas metano: adeguata valutazione comparativa di cui l’amministrazione preposta alla formulazione del parere di compatibilità ambientale è quindi tenuta a dare compiutamente atto nella parte motiva, responsabilmente prendendo in considerazione -nel condurre sul piano tecnico il raffronto- ciascuno dei fattori che assumono rilievo nel determinare l’impatto ambientale di una centrale elettrica, salvo
successivamente a procedere ad una valutazione di tipo complessivo.
La valutazione delle alternative di progetto, già rientrante tra i compiti propri dell’amministrazione in generale deputata ad esprimersi in merito alla compatibilità ambientale, assume quindi connotati di particolare stringenza per effetto della specifica disciplina legislativa regionale richiamata. Che è quanto, per vero, pare riconoscere lo stesso giudice di primo grado allorché, nel concludere per l’irrilevanza delle eccezioni di illegittimità costituzionale dedotte con riferimento all’art. 5-bis, d.l. 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, in l. 9 aprile 2009, n. 33, afferma che “l’art. 30 della l.r. 36/1997 non impone per forza l’alimentazione a gas metano per le centrali elettriche, all’uopo bastandone una che assicuri un <<…pari o minor impatto ambientale…>>, sicché occorre verificare, IN CONCRETO e rispetto al gas metano, l’impatto ambientale complessivo della scelta d’alimentazione per la proposta trasformazione della centrale di Porto Tolle” (punto 2.2. della sentenza appellata). Lo stesso giudice di primo grado, tuttavia, nel disattendere le specifiche censure con cui in quella sede è stata per l’appunto lamentata l’inadeguata valutazione comparativa delle “alternative di progetto”, richiama l’art. 5-bis, del citato d.l. n. 5/2009 sostenendo che “in tal caso, non serve che il progetto rechi alcuna graduazione delle alternative dei sistemi d’alimentazione, la VIA potendo esser autorizzata, o no, a seconda che in concreto quello a carbone non superi i predetti limiti, senza necessità di prevedere soluzioni alternative, del tutto inutili rispetto alla previsioni di legge e che, in tutta franchezza ed ove richiesti, s’appaleserebbero adempimenti meramente defatigatori in capo al soggetto proponente, cui già incombono oneri progettuali assai complessi”.
4.2. Ebbene, giova a questo punto richiamare il citato art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, e soffermarsi sulle relazioni che intercorrono tra la stessa disposizione statale e il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36. A norma dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, “per la riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido, si procede in deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale, purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La presente disposizione si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.
La disposizione statale, con riferimento all’ipotesi di “riconversione degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati ad olio combustibile in esercizio alla data di entrata in vigore della legge di conversione …. al fine di consentirne l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido”, è quindi precipuamente diretta ad introdurre una “deroga alle vigenti disposizioni di legge nazionali e regionali che prevedono limiti di localizzazione territoriale”. Ad avviso del giudice di primo grado, la citata norma statale renderebbe così superflua financo la necessità che il soggetto il quale intenda proporre il progetto di centrale elettrica a carbone prospetti soluzioni alternative, con differente fonte di alimentazione.
4.3. Ebbene, ritiene il Collegio di non poter condividere la conclusione interpretativa cui il giudice di prima istanza è pervenuto, dovendosi più attentamente esaminare il rapporto intercorrente tra l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, e l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, in forza del quale, “nell’ambito dell’intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Invero, come di recente sostenuto da Corte cost. 22 luglio 2010 n. 278 (in sede di scrutinio di legittimità costituzionale dell’art. 27, co. 27, l. 23 luglio 2009, n. 99, nella parte in cui richiama l’art. 5- bis, d.l. n. 5/2009), l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 deve intendersi come volto a derogare alle sole
leggi, statali e regionali, “che prevedono limiti di localizzazione territoriale”, ossia quelle norme che determinino, “con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa”.
Secondo la citata pronuncia della Corte costituzionale, “la disposizione dell’art. 27, co. 27, l. n. 99/2009, nella parte in cui “riprende” l’art. 5-bis , può e deve essere interpretata restrittivamente (…)”. Giova riportare il passaggio rilevante della citata pronuncia 22 luglio 2010 n. 278 . “Con essa il legislatore statale, anziché indicare criteri di localizzazione favorevoli alla realizzazione degli impianti in questione, si è spinto fino all’adozione di una generale clausola derogatoria della legislazione regionale, per quanto in un settore ove non emerge la necessità di costruire una rete di impianti collegati gli uni agli altri, e dunque in assenza di un imperativo di carattere tecnico che imponesse un’incondizionata subordinazione dell’interesse urbanistico ad esigenze di funzionalità della rete. Tale tecnica legislativa, proprio in ragione per un verso dell’ampiezza e per altro verso della indeterminatezza dell’intervento operato (con esso, infatti, si deroga indiscriminatamente all’intera legislazione regionale indicata), necessita di venire ricondotta a proporzionalità in via interpretativa, ciò che la formulazione letterale della norma consente.
Va osservato, infatti, che la disposizione impugnata ha per oggetto le leggi regionali «che prevedono limiti di localizzazione territoriale». Questa Corte ritiene che tale espressione linguistica sia stata impiegata dal legislatore esattamente nell’accezione che, sia pure con riferimento ad un caso peculiare, già si è visto ricorrere nella sentenza n. 331 del 2003, per distinguerla dall’ipotesi dei consentiti «criteri di localizzazione», ovvero per il caso in cui la legge regionale determini, qui con specifico riguardo agli impianti di produzione di energia elettrica, un divieto di localizzazione tale da determinare l’impossibilità dell’insediamento e non permetta, nel contempo, una localizzazione alternativa.
Non vengono coinvolte dalla deroga, pertanto, né la generale normativa regionale di carattere urbanistico, che non abbia ad oggetto gli impianti in questione, o che comunque non si prefigga di impedirne la realizzazione, né tantomeno le discipline regionali attinenti alle materie di competenza legislativa residuale o concorrente, che siano estranee al governo del territorio”.
Ebbene, cosi interpretato l’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, laddove introduce una deroga alle leggi, statali e regionali, “che prevedono limiti di localizzazione territoriale”, deve escludersi ad avviso del Collegio che nell’ambito di operatività dello stesso possa ricondursi l’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, volto solo a statuire che “nell’ambito dell’intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po ….: a) gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”: conclusione cui per vero, almeno in linea di principio, pervengono tanto, come osservato, il giudice di primo grado, quanto la difesa dell’ENEL. Ed invero, il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, lungi dal precludere la localizzazione e l’insediamento di impianti di produzione di energia elettrica, si limita ad esprimere -in considerazione delle esigenze di protezione che la specificità del territorio considerato evidentemente pone- una opzione del legislatore regionale di preferibilità per gli impianti alimentati a gas metano, ammettendo una differente alimentazione solo a condizione che siano utilizzate “fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”.
Se così è, deve ritenersi che il citato art. 5-bis, d.l. n. 5/2009, in alcun modo consenta di non tener conto, in sede di valutazione del progetto di centrale elettrica in contestazione, della specifica disciplina legislativa regionale richiamata.
Volendo ulteriormente chiarire il rapporto tra le previsioni normative in esame, può sostenersi che l’applicazione dell’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 -in specie nella parte in cui dispone che la riconversione delle centrali ad olio combustibili in centrale a carbone deve assicurare “l’abbattimento delle loro emissioni di almeno il 50 per cento rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui alle sezioni 1, 4 e 5 della parte II dell’allegato II alla parte V del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152”- presuppone che sia stata adeguatamente svolta la comparazione tra l’impatto ambientale potenzialmente proprio della centrale a carbone che si intende realizzare (certo considerato tenendo conto di tutte le concrete tecniche e cautele previste anche in funzione del soddisfacimento della appena citata regola ambientale posta dal richiamato art. 5-bis con riferimento specifico all’ipotesi della riconversione di precedente centrale ad olio combustibile) e quello correlato alla realizzazione e al funzionamento di centrale a gas metano: presuppone, più nel dettaglio, che all’esito di tale comparazione, l’autorità amministrativa competente abbia responsabilmente concluso per il minore o quanto meno equivalente impatto ambientale della centrale a carbone. In difetto, allo stato, di un principio di legislazione statale che imponga la realizzazione delle centrali elettriche alimentate a carbone senza lasciare margini all’intervento legislativo regionale, e nella perdurante vigenza di una legge regionale volta ad introdurre, per quel contesto territoriale, un criterio di preferenza delle centrali elettriche alimentate a gas metano, salve fonti di alimentazione con minore o pari impatto ambientale, il coordinamento esegetico delle due fonti normative non può che aver luogo nei termini sopra descritti, imponendosi quindi una esplicitazione delle ragioni sottese alla indicata valutazione comparativa. Esplicitazione motivazionale tanto più doverosa in un’ottica di trasparenza delle pur discrezionali scelte amministrative, a garanzia della loro ponderatezza e di una consapevole assunzione di responsabilità.
4.4. Tanto premesso, non può sostenersi che nel corso del procedimento amministrativo contestato in primo grado, ed in specie negli atti con cui lo stesso è stato concluso (parere della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS e decreto del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, recante parere positivo di compatibilità ambientale), sia stata svolta la dovuta comparazione analitica e motivata tra l’impatto ambientale potenzialmente proprio della centrale a carbone che si intende realizzare e quello correlato alla realizzazione e al funzionamento di centrale a gas metano . Non può il Collegio non considerare, al riguardo, che in seno al procedimento conclusosi con il parere favorevole impugnato in primo grado, in specie dopo il riavvio dello stesso nel 2007, sono state anzi espresse perplessità in merito allo stesso studio di impatto ambientale presentato da ENEL proprio per quel che attiene al “confronto tra la riconversione a carbone e le altre soluzioni alternative”.
In termini, si esprime, in specie, il parere n. 244 del 30 giugno 2009 reso dalla Commissione regionale v.i.a. che, tuttavia, successivamente conclude in senso favorevole al progetto di riconversione limitandosi a richiamare l’art. 5-bis,d.l. n. 5/2009: disposizione dalla Commissione regionale interpretata come norma statale in forza della quale l’alimentazione a carbone o altro combustibile solido può “essere effettuata purché la riconversione assicuri l’abbattimento delle emissioni di almeno il 50% rispetto ai limiti previsti per i grandi impianti di combustione di cui al D. Lgs. 152/2006”. Interpretazione non condivisa dal Collegio per le ragioni sopra illustrate.
Parimenti, nella nota n. 82234 del 29 giugno 2009, ARPAV- Dipartimento provinciale di Rovigo esprime non poche perplessità in merito alla metodologia e agli esiti del raffronto contenuto nella documentazione del soggetto proponente tra l’impatto ambientale della centrale a carbone e quello di alternativi impianti di produzione energetica diversamente alimentati.
In specie, sono espresse perplessità in merito alla metodologia seguita nel porre a raffronto le emissioni potenzialmente correlate alle due tipologie di impianti; si rimarca la mancanza di un confronto relativo ai rifiuti prodotti nell’esercizio delle due diverse centrali; si sostiene, ancora, la preferibilità dell’impianto a gas con riguardo all’emissione per l’inquinante NOx, agli altri microinquinanti SO2 e alle polveri.
Sul punto, merita considerare che, se è vero certo che il citato art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, nella formulazione successiva alla novella di cui alla l.r. 26 febbraio 1999 n. 18, non prevede più l’obbligo dell’alimentazione a gas metano o con altre fonti alternative non inquinanti limitandosi a prescrivere che nell’ambito dell’intero territorio dei comuni interessati dal Parco del Delta del Po “gli impianti di produzione di energia elettrica dovranno essere alimentati a gas metano o da altre fonti alternative di pari o minore impatto ambientale”, non è men vero, tuttavia, che la valutazione di “pari o minore impatto ambientale” dell’impianto a carbone proposto rispetto all’impianto alimentato a gas debba essere svolta dall’amministrazione in modo analitico, tenendo senz’altro anche conto dell’attitudine inquinante che le centrali a confronto presentano sotto i diversi aspetti che vengono in rilievo.
4.5. Ebbene, l’apprezzamento comparativo in questione non può non essere condotto in modo ancor più rigoroso allorché nel corso del procedimento amministrativo, ed in particolare nella sua fase finale, emergano, come registratosi nel caso si specie, perplessità espresse da organi tecnici dell’Amministrazione. E’ proprio quanto, ad avviso del Collegio, è mancato nel caso di specie non ravvisandosi nel parere positivo di compatibilità ambientale impugnato in primo grado una compiuta illustrazione delle motivazioni sulla scorta delle quali la Commissione statale è in condizione di sostenere che la centrale a carbone proposta dall’ENEL -in considerazione delle caratteristiche tecniche, di potenza e di funzionamento in concreto previste, delle effettive condizioni del contesto complessivo, delle cautele e delle tecniche indicate dal proponente per soddisfare gli obblighi di abbattimento imposti dall’art. 5-bis, d.l. n. 5/2009 e di tutti gli altri fattori di valutazione- presenti un impatto ambientale minore o pari a quello di una centrale a gas metano.
4.6. Pare del resto persino superfluo osservare, attesa la indicata ricostruzione del quadro normativo di riferimento e la illustrata interpretazione dell’art. 30, l.r. Veneto 8 settembre 1997, n. 36, che la suddetta comparazione, lungi dal poter essere rimessa al soggetto che propone il progetto, deve essere adeguatamente svolta dall’Amministrazione pubblica, nell’esercizio della discrezionalità tecnica che le compete; parimenti scontato, ma non inutile rimarcare, peraltro, che, in assenza di una adeguata motivazione che dia compiutamente atto delle ragioni sottese alle valutazioni di “preferibilità ambientale” dell’impianto a carbone rispetto ad “alternative di progetto”, non può certo il giudice amministrativo formulare, sulla base delle indicazioni difensive fornite in sede processuale, apprezzamenti di tipo tecnico, altrimenti finendo per sostituirsi, in spregio al fondamentale principio di separazione, all’amministrazione, invadendo uno spazio alla stessa riservato.
4.7. Alla stregua delle esposte ragioni, e fermi gli eventuali seguiti amministrativi, vanno pertanto accolti i motivi di gravame con cui è stato dedotto il vizio di omessa esplicitazione delle ragioni sottese alla valutazione di pari o inferiore impatto ambientale della centrale a carbone rispetto alle possi bili alternative di progetto, in specie quella alimentata a gas metano.
A.3. Legge Finanziaria 2011, articolo 35, commi 8 e 9
8. All’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, dopo le parole: “di localizzazione territoriale” sono inserite le seguenti: “, nonché che condizionino o limitino la suddetta riconversione, obbligando alla comparazione, sotto il profilo dell’impatto ambientale, fra combustibili diversi o imponendo specifici vincoli all’utilizzo dei combustibili”.
9. L’articolo 5-bis del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, come modificato dal comma 8, si applica anche ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 33 del 2009.