In molti si staranno chiedendo: ma le province non le avevano abolite? Ed invece i giornali sono pieni di titoli su accordi, candidature, trattative, colpi di scena. Ecco che si rivela la farsa del primo organo costituzionale in teorica via d’estinzione, l’istituzione “intermedia” tra gli impotenti comuni e le imponenti regioni.
Per mesi abbiamo sentito fare campagna elettorale con “aboliremo questo, elimineremo quest’altro”, e noi sotto i palchi come scimpanzé ammaestrati ad applaudire con entusiasmo, evidentemente senza capirci un granché. Ecco ora, sotto i nostri occhi, il prezzo altissimo del populismo, partitico e movimentista, che abbiamo fagocitato e rigurgitato per le piazze ed i social network.
Le funzioni delle cosiddette “nuove” province non sono affatto diminuite: restano le strade provinciali (130 mila chilometri), la pianificazione territoriale, la tutela ambientale, la pianificazione ed il controllo dei trasporti, l’edilizia scolastica. Addirittura, visto il mancato accordo tra Regioni e Governo sulla ridistribuzione definitiva di poteri e funzioni, ogni singola regione potrà attribuire alle province funzioni ulteriori e tutte queste responsabilità, ovviamente, si trasformano, come è giusto che sia, in voci di bilancio, cioè soldi nostri.
Si tratta di servizi essenziali per cui, per quanto mi riguarda, lo stato spende anche troppo poco, ma la domanda è: allora che cosa è cambiato tra le vecchie province e queste nuove?
Esattamente come per le proposte di abolizione del senato, di dimezzamento dei parlamentari e di taglio dei consiglieri regionali, ci hanno fatto credere che si trattasse di misure per risparmiare, per colpire gli sprechi e diminuire i privilegi. Ed invece l’unica ragione di piduistica memoria che si cela dietro queste farse è: la diminuzione del potere dei cittadini, conseguenza inevitabile di ogni abolizione di un organo elettivo.
Quelle delle province si chiamano elezioni di secondo grado, cosa significa? Che il consiglio provinciale prima lo eleggevano i cittadini, ora lo eleggono consiglieri comunali ed i sindaci. Certo, presidenti e consiglieri provinciali non avranno più l’indennità di prima e saranno in tutto, tra province e città metropolitane, circa la metà, ma ciò che conta davvero è che gestiranno la stessa poderosa quantità di soldi e di potere, forse anche di più.
L’abolizione di qualsiasi organo elettivo, dal Senato alla circoscrizione cittadina, non ha nulla a che vedere con gli sprechi ed i privilegi, al contrario: verticalizza l’organizzazione dello Stato, limita ulteriormente gli spazi di manovra democratica e diminuisce il controllo dei cittadini.
Mica è astrologia, è aritmetica: se votassero tutti gli italiani, per eleggere un parlamentare ci vorrebbero circa 60 mila voti, se dimezzassimo il numero dei parlamentari ce ne vorrebbero il doppio. Si possono fare tutti i ragionamenti filosofici di questo mondo sulla efficienza delle camere o sulla velocità di approvazione delle leggi, ma questi sono dati inconfutabili e, per smentire definitivamente i piagnistei sulle presunte difficoltà causate dagli equilibri istituzionali, ricordo che questa becera classe dirigente ha dimostrato di saper raggiungere vette di efficienza e velocità da record ogni qual volta c’erano da approvare salassi, tasse e finanziarie di lacrime e sangue.
Il punto è un altro, è quello della rappresentanza, del rapporto tra elettore ed eletto, ed è lo stesso principio che viene stracciato dalla legge Del(i)Rio sulla cosiddetta abolizione delle province: se aboliamo la provincia, le sue funzioni inevitabilmente comunque restano, ma evidentemente chi le gestirà non sarà più eletto da noi.
Ebbene, si possono colpire realmente gli sprechi, i privilegi ed i costi istituzionali senza diminuire ulteriormente il già ridicolo livello di democrazia del nostro paese, quindi senza abolire organi elettivi? Scusate, ci vuole tanto a decimare, non solo dimezzare, gli stipendi, i rimborsi, gli sconti, i servizi at personam e tutto il resto delle spese avulse da ogni utilità sociale e culturale causate non dalla politica in sé, ma da una classe dirigente incancrenita e pestilenziale a tutti i livelli? Ci vuole tanto a capire che diminuire il potere di ogni singolo cittadino, per esempio con questo tipo di abolizioni o con l’incessante proposizione di leggi elettorali maggioritarie, aumenta gli sprechi perché rafforza il legame ormai cementato tra le poltrone ed i flaccidi sederi di chi ci si è già seduto?
Non me ne vogliano i candidati, ma questa è la tornata elettorale più ridicola dalla fine della seconda guerra mondiale, ampiamente peggiore degli spettacoli raccapriccianti della prima repubblica: ci serva da lezione per distinguere il nostro diritto di eleggere dei rappresentanti dal dovere dei rappresentanti di esserne degni, per capire che i centri decisionali devono essere avvicinati ai cittadini e non spostati, per esempio, dai palazzi provinciali a quelli oscuri e faraonici delle regioni, dalle camere statali agli uffici irraggiungibili di Berlino e Bruxelles. Volete riformare davvero il titolo quinto della costituzione? Abolite le regioni, il vero buco nero della macchina pubblica italiana, e trasferite tutti i poteri alle province o meglio ancora a degli ambiti territoriali ristretti, tagliate i privilegi e la distanza tra cittadini ed istituzioni, ed allora, forse, qualcosa in più funzionerà.
Flavio Stasi