Category Archives: Sfocature

Il modello sfreggio.

La cortina di mistero intorno al Modello Reggio si era sciolta da tempo svelando lo squallore, la collusione, l’inganno luccicante intorno a cui si è costruito un intero sistema di potere regionale e oltre.

Oggi si è sciolto un comune, il simbolo, ma non quel modello.

Il distillato delle peggiori gestioni politico-ndranghetiste, il modello Reggio, devono abbatterlo i calabresi, comune per comune, quartiere per quartiere, faccendiere per faccendiere, sindaco per sindaco, onorevole per onorevole.

Con pazienza, determinazione e coraggio costruiremo una calabria che poggia sulle sue gambe, che valorizza le sue ricchezze umane e territoriali, che ha il coraggio di andare in direzione opposta rispetto allo stato canaglia di banchieri e giullari televisivi. Idee chiare e consapevolmente fuori luogo, perchè quando avremo finito saranno i capitani ignoranti di questa nave mercantile alla deriva ad essere fuori luogo.

Nascosta sotto decenni di cazzate, abbuffate, promesse, cemento, veleno e killer col papillon, l’alternativa è una realtà meravigliosa, la amo. E’ la Calabria, e basta.

Flavio Stasi


Armato di parola.

Dopo l’articolo uscito sul quotidiano tanta è stata la solidarietà che ho ricevuto con gesti e parole. Era quello che mi serviva, non posso non ringraziare, eppure so che non basta.

Io credo davvero che sulle piccole e grandi omertà quotidiane si fondino le grandi mafie, per cui questa storia può avere un lato positivo solo se davvero la solidarietà si trasforma in atti concreti: sarò più forte io, saremo più forti tutti noi, saranno più deboli coloro che sulla sopraffazione costruiscono le loro fortune. Soprattutto sarà più bella la nostra terra, che lo merita.

Non posso che ringraziare il direttore del Quotidiano della Calabria, Matteo Cosenza, soprattutto per la delicatezza che ha dimostrato.

Pubblico quanto scritto sul mio blog, anche se è quasi una formalità ormai: tanti in questi giorni lo hanno già letto e fatto proprio.

Con forza, senza paura.

Flavio

Erano lì, sedute comodamente a tavola in una pizzeria nei pressi dell’Università, le bestie che una settimana fa mi hanno massacrato per strada senza motivo, in tre.

I delicatoni ordinavano un’insalata, ben pettinati, curati, uno di loro di certo lampadato. Io ho il naso fratturato, me lo hanno rotto con pugni e gomitate, e da poco ho rimosso i punti all’arcata sopraccigliare. Mi trovavo lì solo per prendere una pizza da portar via. Dopo avermi visto ed aver sussurrato qualcosa sottovoce tra loro, ghignando, il lampadato si è alzato venendo fuori, nei pressi del forno a legna dove stavo aspettando la mia pizza. Lentamente mi è passato vicino, ha dato un’occhiata fuori dalla pizzeria, dove era parcheggiata la mia macchina, come a dirmi che la stava tenendo d’occhio, dopo di che è tornato al tavolo.

Li ho denunciati, sono stati identificati, e credo che non abbiano apprezzato granché la cosa. Di ritorno a casa, tra rabbia e paura, mi sono chiesto se è ancora il caso di restare qui, vivendo fianco a fianco con questi guappetti da quattro soldi ma talmente vigliacchi da poter fare qualsiasi cosa se solo hanno la certezza di poter vincere facilmente o di poter scappare al momento giusto.

Funziona così: ti massacrano e tu passi i giorni seguenti tra ospedali e caserme, a lavare il sangue dalla macchina, a tranquillizzare chi ti sta vicino mentre allo specchio tranquillizzi te stesso. Loro nel frattempo vanno dall’estetista, spacciano coca e mangiano insalate.

Non c’è una volante a proteggerti in ogni luogo. Gli angoli deserti e bui nelle città ad immagine di questa società, fatte di lustri in centro e giungle in periferia, sono tanti. Ricordo che ci abbiamo provato, tempo fa, a spiegare che non servono le telecamere e gli eserciti per garantire sicurezza, ma servono luoghi vivi e sociali, colmi di discussioni e di vigili occhi umani, non di inutili occhi elettronici nel deserto. Ricordo che parlavamo proprio del luogo in cui sono stato picchiato per una ventina di minuti, senza che passasse nessuno per aiutarmi in qualche modo. Ricordo che lo abbiamo fatto invano.

Io non ho il denaro per permettermi una scorta, figuriamoci, e neanche una porta blindata. Non ho il porto d’armi per autodifesa e dovrei comunque essere davvero incazzato per sparare a qualcuno.

E allora ti dici: quasi quasi me ne vado, per paura o per quieto vivere. Hanno vinto, perché non sei stato il primo, e non sarai l’ultimo, e sulle piccole vigliaccherie impunite, le violenze di strada, le sopraffazioni di quartiere e le conseguenti paure ed omertà, si costruiscono le grandi mafie e questa società di sudditi e sovrani.

Allora non me ne vado più. Mi armo di parola. Non conosco nomi e cognomi, ed in verità non voglio conoscerli. So che i vili sanno di esserlo, e dovranno guardarsi allo specchio per quello che sono, e saranno riconosciuti e derisi per quello che sono. Non parlo solo di quei tre, ma di tutti quelli come loro.

Si aggirano per le città come saprofagi, ma a differenza di questi non hanno nè un’utilità naturale nè una dignità sociale.

Io non mi credo né Falcone né Impastato, non state leggendo “l’Idea Socialista”, anche perché non ho a che fare con Rina e Badalamenti, ma con poveretti che la società ha trasformato in aspiranti tronisti con troppi film di Tomas Milian alle spalle. E del resto se potessi scegliere, non li metterei in galera, mi basterebbe che si guardassero allo specchio schifati.

Tanta gente in questi giorni, per strada o nei negozi, mi confessa la propria disavventura, esperienza diretta o da genitori, fratelli, amici, quasi come se solo chi ha vissuto qualcosa di simile avesse la pazienza di ascoltare. La mia gente, che avrebbe dovuto avere uno sguardo rabbioso e determinato nei confronti di chi deturpa e condanna con la propria bassezza la nostra terra, che amo più di ogni altra cosa, invece mi guarda con occhi rassegnati e compatenti. No, non me ne vado più.

In pizzeria sono passato quasi tre ore fa, due ore fa mi sentivo debole, mentre ora, pur avendo letto solo io ciò che ho scritto, mi sento forte e circondato da miei simili.

Allora a voi tre ed a tutti quelli come voi, dico: venite a massacrarmi ora, anche in dieci contro uno. Potete spaccarmi tutte le ossa, potete sfigurare il mio volto e sfasciare la mia auto, potete accoltellarmi o spararmi, ma non farete neanche un graffio a quello che ho scritto, a quello che penso, e resterete comunque delle ignobili bestie senza dignità.

A tutti gli altri, alla mia gente, imploro di non avere paura, di non restare in silenzio nei confronti delle ingiustizie e delle violenze, di avere il coraggio di vivere liberi, di essere Uomini.

Flavio Stasi


Armato di parola

Dopo l’articolo uscito sul quotidiano tanta è stata la solidarietà che ho ricevuto con gesti e parole. Era quello che mi serviva, non posso non ringraziare, eppure so che non basta.

Io credo davvero che sulle piccole e grandi omertà quotidiane si fondino le grandi mafie, per cui questa storia può avere un lato positivo solo se davvero la solidarietà si trasforma in atti concreti: sarò più forte io, saremo più forti tutti noi, saranno più deboli coloro che sulla sopraffazione costruiscono le loro fortune. Soprattutto sarà più bella la nostra terra, che lo merita.

Non posso che ringraziare il direttore del Quotidiano della Calabria, Matteo Cosenza, soprattutto per la delicatezza che ha dimostrato.

Pubblico quanto scritto sul mio blog, anche se è quasi una formalità ormai: tanti in questi giorni lo hanno già letto e fatto proprio.

Con forza, senza paura.

Flavio Continue reading


In the flesh

L’arte non ha bisogno di spiegazioni.

Sa essere folle e drammaticamente umana. L’arte è anche spettacolo.

L’arte è senza prezzo. La differenza fra The Wall Live ed una follia è che quest’ultima non ha prezzo fisso.


Promocrepare a tempo

Non erano ancora le nove di sera

quando le emittenti commerciali di Vuotolandia

davano a reti unificate

un film erotico giapponese:

il protokollo di Kyoto.

 

Protagonista un italiano vestito di carcasse,

un ballerino strafottente,

che costruisce la propria fallimentare carriera

esibendosi in feste tradizionali

presso le numerose location all’ombra

delle ciminiere dell’industria.

 

Nell’intervallo una televendita flash rifilava pentole,

televisori a schermo piatto

ed energia pulita da fonte emo-rinnovabile

finanziata dal Ministero della Salute.

 

Tutto ad un presto stracciato:

un pugno di voti e litri di sudore.

 

Morire di botte, veleno o call-center.

Basta qualche milione di italiani e un centinaio di padroni,

con carte di scredito e credito.

 

Fingere di non saperlo è gratis.

 

Ballare “Vieni a ballare in puglia” e “Mammalitaliani”,

sorridenti e frustratamente ubriachi,

ignorando che la voce sparata a diecimila watt

dalle casse sta urlando istericamente

“Imbecilli!”

non ha prezzo.


Sabbia e sale

Senza piedi nella sabbia,
senza che le onde cingano d’assedio il mio naufragio,
ho visto il mare
negli occhi di un’amante,
nella violenza delle masse,
sui tasti di un pianoforte.

Ho avuto paura
di affogare,
credevo fosse il respiro
a tenermi in vita.

Ora che i polmoni sono scoppiati,
ho paura di imparare a nuotare.


Segnali di tristi sconfitte individuali.

Apparenti esaltazioni del nulla.


Individualismo e utilità collettiva

La passione e l’entusiasmo nel fare delle cose tendenzialmente inutili è una reale peculiarità dell’uomo individualista di questo tempo. Nelle inutilità tutti si sentono utili e capaci, il che equivale a non esserlo.
Il motivo è sicuramente molto complesso.
Di certo vi è l’incapacità di accettare la collaborazione ed il confronto, il torto e la sconfitta: requisiti spesso non indispensabili per attività apparentemente creative, vagamente ricreative. Per questo tipo di attività non è previsto torto, in quanto il fine non è il raggiungimento di uno scopo bensì il proprio sollazzo. Per questo tipo di attività non è prevista sconfitta, in quanto non è prevista vittoria.
Accettare la collaborazione, il confronto ed il torto è la base per riuscire ad essere collettività, anche parziale, e non individuo.
Accettare e comprendenre la possibilità della sconfitta è un requisito necessario per la vittoria. Se questa non interessa, è solo per indifferenza.


I sognatori sono spesso dei vigliacchi.

Coloro che hanno il coraggio di inseguire ostinatamente i propri sogni sono Uomini.

1011.1001.11111011010 . Immagine Sfocata

Ciao Adolfo

Mai ho scorto in te la tentazione di un compromesso, mai ho visto soccombere in te la voglia di provare a cambiare le cose, a cambiare la vita, a cambiare tutto se fosse stato necessario. Il tuo non era fanatismo nè fede religiosa. Non era interesse di bottega e nemmeno autocontrollo. Era l’incrollabile sicurezza di chi non rifiutava mai il ragionamento, di chi si ostinava a tentare di capire ed interpretare, di chi aveva la forza e la saggezza di guardare a domani e non fino alla punta dei piedi.
Hai condotto una vita da fratello delle genti. Una vita di lotta e di resistenza contro i tanti detrattori delle collettività. Smentendo i luoghi comuni lo hai fatto sempre, incurante delle difficoltà, uomo, militante e rivoluzionario dalla gioventù per ogni giorno della tua vita.
Non sono stati vani i tuoi consigli, le tue lezioni, le nostre interminabili discussioni, così come non è stato vano il tuo impegno ed i tanti sacrifici di una vita in difesa ed a fianco dei deboli, degli oppressi, degli sfruttati.
Per noi sei un esempio, un riferimento autentico, un percorso luminoso da conoscere e seguire come uomini e come rivoluzionari.
Non ti adirare se al tuo ricordo non riusciremo ad essere razionali, ad affidare al ragionamento ogni azione o parola, ma del resto anche la tenerezza che traspariva dai tuoi occhi ci ha insegnato qualcosa.
A pugno chiuso, davvero.

Ciao Adolfo.