di Flavio Stasi
Articolo pubblicato sulle pagine regionali de Il Quotidiano della Calabria dell’8 Febbraio 2012.
Sembra ieri quando gli studenti riempirono il piazzale antistante l’aula magna contro i tagli della legge 133 e di Mariastella Gelmini, il Ministro che ciarlava di meritocrazia e che per superare l’esame di Stato da avvocato si è spostata da Brescia a Reggio Calabria, dove lo superavano tutti.
Sembra ieri, ed il Rettore Latorre era lì a fare l’anti-Mosè: gli studenti erano un’onda e lui tentava di calmare le acque.
Secondo il governo i provvedimenti avrebbero dovuto tagliare gli sprechi e colpire le caste. In realtà i veri, malcelati e raggiunti obiettivi, erano esattamente opposti: tagliare il diritto allo studio e accentrare tutta la gestione delle Università nelle mani di pochi potenti, assimilandole a delle Spa. Obiettivi difficilmente raggiungibili senza l’aiuto di chi occupava le poltrone più ambite degli atenei, ed il Rettore dell’Unical non si è tirato indietro. Come avrebbe potuto?
Fin dal 1999, quando cioè è diventato Rettore, Latorre ha completamente sovvertito le regole democratiche e di funzionamento dell’Ateneo a partire da quella che limita il numero di mandati per un Rettore a due. O meglio, che limitava, visto che Latorre ne ha specificatamente richiesto ed ottenuto la modifica appena prima di farsi eleggere per la terza volta. Il sultanato avrebbe dovuto avere fine nel 2011, ma la Legge 240/2010, la cosiddetta riforma Gelmini, gli ha permesso di stare in carica altri 12 mesi, dando evidente sfoggio di avversione alle caste universitarie (!?).
Alla fine di quest’anno, salvo intercessione del Papa o del Dalai Lama, Latorre dovrebbe lasciare spazio a qualcun’altro, nei limiti concessi dall’influenza costruita su tredici anni di rettorato.
Tredici anni che ci lasciano un bel gruzzoletto di classifiche inutili ed una miriade di ferite profonde che difficilmente l’Unical riuscirà a rimarginare, a partire dalla trasformazione del Campus in un deserto culturale, snaturato da regole cervellotiche pronte per essere trasgredite dal burocrate di turno nelle grazie delle alte sfere. Magari qualche studente che, una volta eletto nel Senato Accademico o nel Consiglio d’Amministrazione nelle fila di qualche pseudo-associazione, finanziata ovviamente dalla stessa amministrazione, vota sistematicamente le proposte del rettore per poi finire assunto negli uffici amministrativi.
Lungi da me voler accusare qualcuno, nessuno può dimostrare che non è un caso.
Nessuno può neanche dimostrare che non sia accaduto più d’una volta.
E comunque quelle regole che avrebbero dovuto servire alla sicurezza degli studenti del Campus non sono servite a nulla, visto che gli episodi di violenza non sono rarità nonostante il lavoro del servizio di sicurezza e le rassicurazioni delle forze dell’ordine. Forse uno statistico non lo immagina, ma quando in un campus con centinaia di ragazzi non si promuove neanche un’attività culturale, ricreativa o sociale, anzi la si ostacola, neanche l’esercito può garantire la sicurezza.
E a proposito di esercito, nessuno dimenticherà mai il ricorso sistematico alle forze armate ed alla polizia in assetto antisommossa per disinnescare il dissenso politico nell’Ateneo durante questi anni. Mai le battaglie politiche degli studenti Unical, tanto in forma spontanea quanto organizzata, si sono rivelate violente, ma il pericolo da scongiurare non era la violenza, bensì il dissenso, la denuncia, il tentativo di scardinare il privilegio. Quando tutto questo si è incrociato con le trovate pubblicitarie di Latorre, le feste in pompa magna organizzate coi nostri soldi e con l’esclusione sistematica degli studenti, il risultato è stato costante: Polizia.
Prima durante la visita del Presidente Napolitano, si disse “è il protocollo”. Poi per impedire un’assemblea in aula magna, si disse “era per evitare danni”. Poi per la visita di Roberto Benigni, si disse.. “bho, c’erano guelfi neri?”. La prossima volta sarà per la visita di Wile Coyote e Beep Beep, studenti rigorosamente esclusi.
Quando in un’università si ricorre sistematicamente alla polizia, c’è qualcosa di marcio, sia il lettore a stabilire se dalla parte degli studenti o del Rettore.
Comunque, andando al sodo visto che queste cose le ha imparate anche l’intonaco decadente dei cubi universitari, la novità è che l’Università istituisce i saldi accademici, svende tutto. Gli immobili inutili, ovvero quelli che l’amministrazione non è stata in grado di rendere utili, sono all’asta, da Santo Stefano a Commenda. Quelli utili, invece, si vogliono dare in gestione a privati.
L’edilizia del Campus, il fiore all’occhiello dell’amministrazione Latorre, il volano della sua virtuosità, finisce per essere un mega-affare per i soliti speculatori, un’altra fregatura per gli studenti ed un altro colpo pesante per il diritto allo studio. Senza ipocrisie, avessi qualche centinaia di migliaia di euro investirei ad occhi chiusi su degli immobili costruiti coi soldi pubblici, a due passi dall’Università, e che saranno destinatari di convenzioni e facilitazioni sempre pagate coi soldi pubblici. Qualcuno di voi non lo farebbe? E perché se la gestione dell’Unical è così virtuosa, per una volta al posto di farlo fare ai privati, questo affare non lo fa l’Università e coi proventi ci rifinanzia un po’ delle borse di studio che ha tagliato in questi anni?
Del resto tre anni fa il Rettore ha chiesto e ottenuto un’altra modifica dello Statuto d’Ateneo, con cui ha sciolto l’indipendenza del Centro Residenziale, l’organo che gestisce il patrimonio immobiliare dell’Università, e lo ha accorpato al Consiglio d’Amministrazione, accentrando tutto in virtù dell’efficienza amministrativa.
Gli studenti più attenti si opposero, formarono un comitato, ma restarono inascoltati.
Il provvedimento fu così efficiente che l’Università ha continuato ad assegnare gli alloggi agli studenti con mesi di ritardo, ed ora è costretta a svendere.
Il punto è che insieme ai muri, ai pilastri ed ai giardini, quello che si sta svendendo è il diritto allo studio per migliaia di ragazze e ragazzi calabresi, ed insieme ad esso il futuro e le possibilità di riscatto per una terra che ormai sembra destinata ad esportare cervelli ed importare rifiuti.
Per carità, non è e non può essere colpa di uno solo, semmai di una mentalità e di un modello, che però l’Università sta irraggiando da anni. Per cui niente forche, ci mancherebbe, trovo più interessante il ragionamento. In questi anni uno degli argomenti principali che ha animato, seppur a stento, l’Università è stato quello della responsabilità. Ragionando, dunque, di fronte al fallimento palese di quel modello, chi per tredici anni è stato Rettore, oppure come dice fraudolentemente qualcuno, a capo della più grande azienda calabrese, qualche responsabilità ce l’ha o no?