L’Università stuprata dalle regole

Contributo comparso sulle pagine regionali de “il Quotidiano della Calabria”, 14 Agosto 2011

Titolo: Il triste finale di una lunga storia

di Flavio Stasi

Bocce ferme, l’Unical torna deserta: nè studenti, nè ruspe, nè rettore, nè poliziotti in antisommossa. Resta lì, inerme ed immobile la nostra Università, rifiatando con gli occhi sbarrati al termine dello stupro. Rimarrà così fino a che, a Settembre, l’energia viva dei ragazzi calabresi le porgeranno il braccio, e si risolleverà ancora più pesante, storpia, sfigurata di prima.

Avremo ancora meno spazi da vivere, ancora più risorse sotto il controllo di un potere asfissiante, ma soprattutto ancora meno ostacoli sul cammino di un’idea che, ormai è chiaro, è clamorosamente sbagliata. Ecco il risultato reale degli sgomberi e tentativi di sgombero messi in atto ad Agosto: ancora più legittimità alla logica che sta facendo letteralmente crollare l’intera nazione, da ogni punto di vista: culturale, sociale, finanziario, persino morale.

Il Paese è in mano a uomini (e sono uomini, alla faccia delle pari opportunità di facciata) la cui incapacità è pari soltanto alla loro faccia tosta nel non tirarsi indietro. Le nostre Università sono in mano a tecnocrati che dovremmo prendere a calci nel sedere e tenere lontano da ogni ateneo, che del concetto di Università hanno fatto man bassa, che ci lasciano in eredità i loro conti a posto ed i loro deserti sterminati di ignoranza ed omologazione.

Scrive un autorevole docente: “qui va tutto in malora, ed il rettore se la prende con gli spazi occupati”. È l’emblema di un fallimento completo, della frustrazione di una classe dirigente in preda al panico perché, finalmente, è evidente agli occhi di tutti quanto deboli siano le tesi su cui hanno ciarlato per decenni, la demagogia con cui hanno persuaso gli animi, le menzogne con cui hanno nascosto il saccheggio delle nostre tasche e delle nostre teste.

Guardateli ora, quando il mercato a cui hanno venduto anche le nostre mutande gli ha requisito la tendina di cortesia, i Governi che abbattono gli ospedali, che distruggono i nostri sogni di vecchiaia, che affamano le regioni ed i comuni: lanceranno un osso al centro e lasceranno che sindaci e governatori si scannino per tornare al popolo sconvolti ma fieri di aver racimolato la costola di qualcosa, dopodiché ingoieranno anche quella di fronte ai nostri occhi sbalorditi.

Guardateli ora i traghettatori dell’Università moderna, gli splendenti e longevi rettori delle riforme di Bologna, ridotti a barboni istituzionali non tanto dai governanti che hanno favorito, ma dalle idee che hanno raccolto e radiato; capitani ubriachi di splendide ed enormi carrette, chiamate Università Pubbliche, che loro hanno condotto nel mare strutturalmente in tempesta del liberismo, gettando a mare studenti, diritti, cultura.

E saranno questi ultimi a naufragare sulle carrette, mentre capitani e nostromi si rifugeranno su scialuppe di salvataggio e poi sugli squallidi yacht delle non-università moderne: fabbriche di titoli di studio tabellari, convenzionate con la speculazione, accessibili solo a pochi e senza alcun valore sociale o culturale.

Ecco perché colpire gli spazi occupati. Ecco perché nascondere nella stiva quei passeggeri che urlano lì sul ponte (anche i nomi dei luoghi combaciano!) e denunciano il destino a cui i timonieri li stanno condannando, e la cui voce rischia di essere evidentemente più forte della confusione e del mare che da tempo sferza la chiglia. Che nessuno osi ribellarsi, che nessuno tocchi le scialuppe, che nessuno possa impedire la fuga codarda di chi ci ha condotti alla malora.

E no, cari Ministri, Rettori, Dirigenti. L’autunno alle porte sarà il più caldo degli ultimi vent’anni e non ve la potete svignare proprio ora. Tre anni fa gli studenti denunciarono e previdero tutto, e voi che non ne avete azzeccata una abbiate ora l’altruismo di affondare con gli altri, perché l’Università è da rifare daccapo senza di voi e senza i vostri dettami ideologici, così come tutto il paese.

Al contrario, chi ha deciso di sgomberare gli spazi ad Agosto, in preda alla paura del dissenso, ha alzato da sé la tensione fra gli studenti e le istituzioni, e se ne prenderà la pesante responsabilità.

Già, perchè lo sappiamo che l’Unical scala le classifiche ma che non c’è più una lira. Lo sappiamo che aumenteranno di nuovo le tasse, che diminuiranno ancora servizi e diritto allo studio, che le facoltà saranno costrette a tagliare corsi e aumentare gli sbarramenti, che i ricercatori possono iniziare a fare le valigie, che ci venderanno al mercato, e sappiamo anche di chi è la colpa.

Un solo docente, quasi eroicamente, se ne è assunto quasi tutta la responsabilità, con 12 anni di rettorato. Il Rettore ha scritto che la modifica dello statuto per il terzo mandato è opera del Senato Integrato, ed è vero, ma lui non l’ha soltanto richiesta. L’ha estirpata con quegli stessi mezzi di cui i padri fondatori dell’Unical lo volevano privare. Se esisteva la regola sul massimo di due mandati, infatti, era proprio per non creare caste nelle caste, accentramenti e incrostazioni di potere che potessero rendere gli organi di governo sterili, assoggettandoli a persone o corporazioni. Evidentemente Latorre ha uno ed un solo merito: gli sono bastati due mandati per farlo.

Ma su una cosa, probabilmente, il Rettore ha ragione: in questi anni non ha certo governato da solo. A partire proprio dalla citata modifica dello Statuto che, non lo dimentichiamo, è stata favorita e difesa anche da altri illustri docenti e dirigenti, i vari prof. Gambino, Costabile, Crispini, Andò, De Bartolo, Fantozzi, Bartolino…non si offendi nessuno, non c’è lo spazio per citarli tutti.

Un chiaro esempio di fallimento ideologico più che personale. Basta leggere, infatti, le giustificazioni da brividi di quel Marzo del 2006: il concetto più menzionato è la “continuità gestionale”, come se si trattasse di un’azienda, di un partito, di un consorzio, di un condominio, non di una Università. Ha funzionato? Certo, a far perdere di valore i nostri titoli di studio e consegnarci un futuro, permettetemi, di merda.

Ora in molti auspicano un cambio radicale della classe dirigente, ma in pochi propongono un metodo per attuarlo. Le “regole”, infatti, permettono alla stessa casta che le ha prodotte (o modificate) di conservarsi, ed è per questo che qualcuno, allo stupro delle regole, preferisce occupare spazi per trasformarli in luoghi di organizzazione e confronto politico. Non sarebbe giunto il momento di badare alla sostanza politica delle cose, piuttosto che sventolare la vecchia retorica filo-tecnocrate del rispetto delle regole? L’Università, ed il Paese, ne hanno un disperato bisogno.

 


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