Tremonti, amico della finanza sporca

Nota dell’autore: Questo breve commento è nato come contributo alle rubriche di alcuni quotidiani, i quali hanno preferito non pubblicarne il contenuto in quanto sensibile di querela da parte dell’interessato, comunicando al sottoscritto, inoltre, che questa causerebbe una certa condanna nei confronti dei responsabili delle testate. La cosa non mi stupisce, nè biasimo giornalisti e direttori i quali, spesso, nonostante tutto, pubblicano i miei commenti.

Se fossimo in un paese libero la stampa sarebbe libera, e probabilmente non sentirei la necessità di scrivere alcun commento.

20 Aprile 2011

Una delle caratteristiche che differenzia questo Governo da quelli che lo hanno preceduto, di qualsivoglia colore, è la chiarezza: i cittadini non hanno bisogno di leggere tra le righe di fumosi discorsi in politichese per comprendere in quale modo saranno fregati nel prossimo futuro. Così il Ministro dell’Economia, dopo la brillante trovata pubblicitaria del tour sui treni malarici del meridione (ovviamente già dimenticata con zero risultati), ne spara una grossa, enorme, in Commissione Finanze.

Mentre nel paese imperversa una crisi economica e sociale spaventosa, basti pensare ai dati record sulla disoccupazione nonostante le leggi sulla precarietà li distorcano indecentemente, e da anni regna la piaga dell’evasione fiscale, il Giulio nazionale sostiene che bisogna «ridurre i controlli fiscali, gli accessi e le visite alle imprese».

La ‘ndrangheta, come è successo spesso in questi anni, fa i salti di gioia. Del resto è uno dei doveri del titolare del ministero delle finanze tutelare gli interessi della prima impresa del paese (7% del PIL Nazionale), mafia spa. Si tratta di una diretta conseguenza dei soldi pubblici regalati alle famiglie dei boss grazie agli appalti pubblici per le grandi opere ed allo smaltimento dei rifiuti, tanto per fare due esempi calzanti. Ma che questo governo, con particolare riferimento al suo “cassiere”, sia il miglior amico delle mafie dalla caduta della prima repubblica è un argomento ormai fin troppo inflazionato.

Tra quelle imprese che secondo Tremonti devono avere «il diritto di dire “non mi rompere piu’ di tanto”» non ci sono solo quelle dei mafiosi, ma ci sono anche le ultra tutelate mega-truffatrici come Parmalat, quelle che uccidono quattro lavoratori al giorno a causa del mancato rispetto delle norme di sicurezza (tra cui spicca l’azienda della famiglia Prestigiacomo), quelle che uccidono interi territori con inquinamento e smaltimento illegale degli scarti di produzione, quelle delle buste paga firmate e non conferite e così via. Nei giorni della “sentenza Thyssenkrupp” è opportuno dare un segnale a quella ampia fetta di imprese illegali che compone il tessuto finanziario nazionale, affinché non venga spaventata dalla messa in discussione di una decennale impunità.

Per cui si scoraggino quegli imprenditori i quali credono che lo sfruttamento dei lavoratori basti per raggiungere i propri agognati profitti, in quanto il mercato liberista non lascia scampo: la concorrenza di chi truffa, minaccia, uccide ed inquina li annienterà.

Cercando di guardare il paese da questo punto di vista, quindi con gli occhi del Tremonti di turno, non risulta difficile individuare il vero nemico dell’economia nazionale: il diabolico pubblico impiego. Questo non solo limita i soldi pubblici da poter concedere a banche e imprese degli “amici”, ma concede ad una fetta di popolazione una indecente stabilità sociale in contrasto col modello precario imposto dalle esigenze del mercato.

E mentre il Ministero delle Finanze Sporche e dei Tagli alla Spesa Sociale lavora sodo, incessantemente, per consegnarci un oggi peggiore dello ieri, i nostri strenui difensori confederali, indebitamente detti sindacati, si fanno un giro in autobus a braccetto con Tremonti, svendono il Contratto Nazionale del Lavoro, si incontrano segretamente col titolare di Confindustria, trasformano lo sciopero generale in una sagra del porco. Attendiamo con ansia i risultati della Commissione Finanze. Viva l’Italia ed i suoi 150 anni di saccheggi, di chi ruba ai poveri per dare ai ricchi ed ai mafiosi.

Flavio Stasi


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