Care lavoratrici,
vorrei partire dalle vostre conclusioni: “dove c’è lavoro c’è sviluppo e dove c’è sviluppo c’è benessere”. La storia del nostro paese, ed in particolare del meridione, dimostra il contrario. Dovreste chiedere conferma ai figli delle decine di operai morti alla Marlane di Praia. Dovreste chiedere alle madri di Brindisi, di Tarquinia, di Vado Ligure. Dovreste chiedere a madri e figli di Crotone.
Tutte queste realtà sono accomunate da un elemento: tutte quante hanno ceduto, in periodi diversi, alla promessa di lavoro, credendo che questo avrebbe portato sviluppo e benessere. In questi casi il lavoro rappresenta soltanto un ricatto, e lo stato di depressione economica e sociale in cui si trovano questi territori lo testimonia inconfutabilmente.
E che dire della nostra Rossano? Abbiamo ospitato un impianto industriale molto importante, mega inquinante, per quarant’anni. Lo abbiamo ospitato nel mezzo della nostra spiaggia, ci siamo affacciati per quarant’anni dalla finestra vedendo l’azzurro del nostro mare spezzato da due enormi ciminiere d’amianto grigio, alla cui ombra abbiamo fatto il bagno. Dov’è lo sviluppo? Dov’è il benessere?
Ci avevano promesso aeroporti, università, ferrovie, autostrade, ed invece muoriamo ancora sulla Statale 106, magari per andare a studiare in atenei lontani, non avendo nessun altro mezzo di trasporto a disposizione.
Forse, prese dai mille doveri della famiglia e del lavoro, non ve ne siete accorte, ma quello dell’impoverimento del territorio, della dolorosa e forzata emigrazione, non è un rischio, ma è una realtà ormai da anni. E questo perché il nostro territorio non ha mai intrapreso un percorso di sviluppo reale, di valorizzazione delle proprie enormi risorse, ma si è sempre affidato, come un ladro di se stesso, alle promesse dei governanti e dei grossi capitali, delle holding e di sindacalisti da strapazzo.
Per questo mi unisco al vostro appello per un dibattito serio sul destino dell’impianto di Sant’Irene, e un confronto serio sicuramente non si può costruire sul diktat di una multinazionale che tenta di imporre il combustibile fossile più inquinante attualmente utilizzato per l’energia ad un territorio con vocazione agricola e turistica. Né un confronto serio si può costruire con chi sventola miliardi in faccia a gente che ha il problema di arrivare a fine mese, cercando di convincerla che è meglio rischiare un tumore che morire di fame.
Io, come tanti ragazzi di Rossano e Corigliano che si stanno battendo per il no al carbone, potrei essere vostro figlio, e non ho nessuna intenzione di svendere opportunisticamente la mia terra, come qualcuno fece quarant’anni fa. Per un motivo semplice: non voglio consegnare ai miei figli un territorio ancora povero e senza prospettive se non quella di accettare l’ennesimo ricatto dello speculatore di turno. Non cederemo ai ricatti e tutti i nostri sacrifici andranno in una sola direzione: restituire dignità e prospettive alle nostre città ed al nostro territorio. Mi permetto di correggervi: dove ci sono coscienza, consapevolezza e coraggio, ci sarà lavoro, sviluppo e benessere.
Flavio Stasi