Ponte sullo stretto: È l’affare del secolo per la mafia

Nota pubblicata sulla rubrica regionale “il Chiosco” del quotidiano Calabria Ora in data 30 Agosto 2010

Titolo originale: Le false ragioni del Si.

Fa tenerezza leggere le fantasticherie del “ponte dello stretto” passando una mattinata in coda sulla Salerno-Reggio Calabria, tentando di raggiungere l’unico aeroporto realmente funzionante della regione. Questa mattina neanche la panoramica ed estenuante SS 18 Tirrenica può venire in aiuto dei calabresi costretti a muoversi di città in città, dal momento che gli incidenti la bloccano in più punti da ieri.

Evidentemente i sostenitori di questo megamostro non sono abituati ad attraversare la regione con mezzi convenzionali, poiché è sotto gli occhi di tutti la contraddizione in termini di un opera ambiziosa e costosa quanto inutile e devastante, da impiantare all’estremo sud di una regione con un assetto infrastrutturale e di trasporto da terzo mondo.Ebbene, le ragioni del no incondizionato sono economiche, sociali, culturali, paesaggistiche e di tutela di un territorio già fin troppo provato dagli scempi e dal cemento.

Quante volte abbiamo sentito parlare di strampalati progetti spinti dal ricatto che si nasconde dietro la promessa di posti di lavoro e di millantata ricchezza: si tratta del ricatto della povertà su cui sostenitori e finanziatori del ponte intendono basare il proprio consenso, su cui si fonda anche quel gap culturale che permette alla ‘ndrangheta, tanto discussa in questi giorni, di far presa su vecchie e nuove generazioni di calabresi.

In termini reali il ponte sullo stretto non è nient’altro che l’affare del secolo per tutta una serie di speculatori del settore edilizio e per la più grossa azienda del meridione: appunto, la mafia. Già, perché dalle parti dello stretto lo sanno tutti che ‘ndrine e cosche stanno aspettando da tempo “i soldi del ponte”, i quali dati alla mano potrebbero sostituire per qualche anno quello che è attualmente il business più proficuo per la malavita organizzata: i rifiuti tossici.

Questo business costerebbe alla Calabria, alla Sicilia ed all’Italia non solo miliardi di soldi pubblici, dei cittadini, ma soprattutto chilometri e chilometri di territorio, costa e mare, inondati dal cemento senza ottenere nulla in cambio, nonché la perdita di una di quelle risorse inestimabili che risulta infruttuosa a causa di quella stessa sciatta classe politica che oggi vuole distruggerla: lo stretto.

Quella dei comitati “pro-mostro” è ormai una strategia consolidata. Laddove ci sono grossi interessi c’è sempre qualcuno disposto a difenderli ed a sostenerli. Siamo sicuri che molti lo facciano in buona fede, ma troviamo paradossale che questi signori si prendano la briga di accusare di malafede un movimento dal basso che da anni non fa altro che contrastare lobby economiche e pseudo-intellettuali: se quest’accusa non fosse tanto ridicola sarebbe il caso di analizzarne la matrice. Rileviamo le medesime strategie col ponte, con la centrale del Mercure, col carbone a Rossano e le rivedremo ancora, poichè nella bagarre e nella confusione sguazza chi ha torto.

Non ci stupisce che gli stessi soggetti sostenitori del ponte siano tra coloro che spingono per il carbone a Saline Ioniche, evidentemente di mostri se ne intendono.

Se ci fosse stata tanta spinta per lo sviluppo di un piano di riorganizzazione ed ammodernamento infrastrutturale della regione Calabria per esempio, con tanto di master universitari ed ingenti investimenti pubblici, probabilmente oggi staremmo parlando di misure concrete come l’ammodernamento della SS 106 per ricongiungere seriamente l’estremo sud al resto della nazione attraverso il naturale prolungamento dell’Autostrada Adriatica A14; staremmo pensando al potenziamento del trasporto marittimo attraverso i porti di Gioia Tauro e Corigliano Calabro; a costruire, collegare e potenziare gli aeroporti; a ridare dignità alle ferrovie di tutto il mezzogiorno, le quali versano in condizioni drammatiche. Ma nessuno prende la briga di calcolare quanta disoccupazione, quanto sottosviluppo, quanto disagio comporta la sostanziale assenza di un servizio ferroviario interregionale e la progressiva cancellazione delle tratte a lunga percorrenza dalla Sicilia verso il resto d’Italia e d’Europa.

A proposito di ferrovie: la società RFI del gruppo Ferrovie dello Stato da anni ha iniziato un processo di smantellamento del servizio pubblico di traghettamento sullo stretto di Messina, un processo caratterizzato dal continuo depotenziamento del servizio di trasporto per vettori ferroviari e passeggeri. Smantellamento che è giustificato dalla mancata vocazione marittima della società ferroviaria e che nel frattempo lascia siciliani e calabresi alla mercè del trasporto privato. L’esasperazione per il continuo aumento delle tariffe forse dovrebbe spingere siciliani e calabresi a invocare la costruzione di un ponte? Fra l’altro RFI è azionista della società Stretto di Messina, insieme ad ANAS e ministeri competenti, e si è impegnata a pagare alla stessa società del ponte circa cento milioni di euro l’anno per l’utilizzo della struttura. Gli amministratori di RFI, evidentemente, nutrono una spiccata vocazione per i mega-ponti.

In conclusione la rinascita meridionale può passare dal “ponte sullo stretto”, ma non dalla sua costruzione, bensì dall’opportuno reinvestimento dei fondi pubblici “miracolosamente spuntati” a favore di quest’opera. Fondi che sono stati negati ad ogni altro utilizzo attraverso la cantilena della crisi e che potrebbero porre rimedio ad una situazione infrastrutturale catastrofica, nonché riqualificare settori cardine come la sanità e la scuola oppure semplicemente bonificare e rivalorizzare i tanti territori colpiti dalla stessa strumentale spregiudicatezza di chi oggi sostiene il Ponte.

Flavio Stasi

Matteo Leta


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