Nota sulla manifestazione No ‘Ndrangheta lanciata da Il Quotidiano della Calabria, pubblicata sulle pagine regionali dello stesso quotidiano in data 31 Agosto 2010
Una manifestazione antimafia. Un atto politico e sociale di ribellione popolare alla morsa della ‘ndrangheta, al suo potere, alla sua violenza contro la nostra terra e la nostra gente: è una proposta di grande responsabilità da parte de il Quotidiano. Nell’appoggiarla, affinché questa sia davvero carica di contenuti, credo sia giusto cominciare a parlare concretamente di ‘ndrangheta e di stato; c’è bisogno che coloro che intervengono sull’argomento, stimati e illustri, si liberino dell’abito da momento critico, da proclama, da emergenza, poichè di emergenze le ‘ndrine di Reggio Calabria e di tutta la regione ne hanno indotte e superate molte. La ‘ndrangheta non è una enorme e spaventosa nave fantasma di passaggio, non compare la notte e scompare alla luce del sole. La ‘ndrangheta è uno scoglio enorme visibile da ogni punto della regione, da ogni finestra, da ogni ufficio pubblico e privato, luminosa di notte e oscura di giorno, e la sua vista incute timore ai giusti e servilità ai vigliacchi. Si dia il caso che i vigliacchi siano tanti, ma tra questi non possiamo evidentemente annoverare il procuratore generale Di Landro, a cui manifesto profonda solidarietà e stima ma non come “uomo di stato” come molti lo celebrano oggi, ma come uomo e basta. Perché lo stato è anche quello che ha negato ai procuratori di Reggio Calabria un protocollo di sicurezza che, da profano, sembra elementare; perché lo stato è anche molto altro.
Le bombe e le pistole, la violenza e la minaccia esplicite sollevano sempre un giusto sdegno da parte di intellettuali, personalità politiche, stampa, fette di popolazione. Ma la ‘ndrangheta è uno scorpione secolare: quello che ci fa fuori non sono i pedipalpi con cui tenta di agguantare e bloccare il procuratore Di Landro, ma il veleno in circolo tra le case e le strade, tra le coste e le montagne, tra gli uffici ed i palchi elettorali. Non sono i botti di Natale, ma il silenzio di 364 notti. La tolleranza, il favoreggiamento, il fiancheggiamento, la pigrizia e, soprattutto, la povertà e la mancata speranza. Scusate il pragmatismo, ma forse dovremmo approfittare di questo momento apparentemente catartico per parlare realmente del miasma di questa regione, farlo per la manifestazione, farlo per le strade, farlo sui giornali, farlo tutti i giorni. Ed allora un po’ di sdegno riserviamolo per la violenza e la minaccia implicita.
Parliamo di quello che lo scorpione nasconde nel carapace. Parliamo per esempio di rifiuti tossici. Parliamo di centinaia di discariche abusive sparse per tutta la regione dove industrie compiacenti di tutta Italia scaricano le proprie scorie abbattendo i costi di smaltimento del 90%, uccidendo la gente che vive nei dintorni, avvelenando terra e mare: forse credono che le ditte di smaltimento a cui si affidano questi imprenditori abbiano dimenticato qualche zero sulla parcella? Sono o non sono ‘ndranghetisti questi signori? Parliamo dei gessi di Palizzi, degli armigeri davanti alle cave dell’aspromonte, della ferrite di zinco a Cassano, della valle del fiume Oliva, dei veleni denunciati e di quelli che ancora sono nascosti.
Parliamo di edilizia, di appalti pubblici, di grandi opere. Parliamo delle operazioni che di tanto in tanto, emettendo qualche ordinanza cautelare, mettono in luce le infiltrazioni mafiose sui cantieri dell’A3. Ma non siamo ipocriti! Non esiste un solo calabrese che si stupisce in queste occasioni, eppure nessuno fa nulla, né cittadini né istituzioni: compriamo i giornali giusto per vedere chi hanno beccato; se i sospetti su questo o quell’imprenditore, questo o quell’uomo politico erano esatti. Non è ‘ndrangheta anche questa? I cantieri della A3 sono ancora lì, con persone oneste che ci lavorano e persone meno oneste che nel frattempo si beccano montagne di denaro pubblico. Aspettando i soldi del Ponte.
Parliamo di cultura, che per molti è la chiave di volta per liberarsi una volta per tutte della ‘ndrangheta. Abbiate pazienza, di quale cultura dovremmo parlare? Di quella delle scuole chiuse in tutti i territori interni della regione? Di intere generazioni di insegnanti sbattuti per strada? Di ragazzi fortunati sbattuti in aule con quaranta persone, aspettando la lezione di acrobazia fonica più che di storia contemporanea? Di quella dei tagli epocali alle università pubbliche, che sono sempre più per pochi? Se c’è una cosa che arretra più dei consumi e della libertà di stampa in Italia quella è la cultura, e non per sfortuna, ma per precisa e trasversale scelta. Guardate alle nuove generazioni e abbiate il coraggio di dire: è o non è ‘ndrangheta anche questa?
Vi prego, risparmiatemi la morale di chi vorrebbe omettere certe responsabilità tenendo lontana la politica ogni volta che si parla di mafia, come se le ‘ndrine operassero sulla luna e le giunte operassero in Calabria.
Se avremo il coraggio di sdegnarci per le bombe, ma anche per tutto questo, imbraccerò l’arma più micidiale che abbia mai impugnato, il megafono, e urlerò quello penso per le vie di Reggio Calabria quando sarà il momento. In caso contrario direi che è meglio lasciar perdere: rischieremmo di urlare “la mafia è una montagna di merda” sfilando di fianco a qualche mafioso, sono ancora giovane per questo.
Flavio Stasi