Immobile, scomodo.
Lo sguardo a pochi metri
fingendo disinteresse.
Parole, di contorno,
partorite dalla parte di me
che resta libera, senza
gabbia.
Il resto imprigionato,
scomodamente immobile,
attratto da ciò che non
potrebbe attrarlo.
Inutile guardare altrove,
inutile pensare oscene
banalità,
seguo col capo ciò che
dicono,
presenze nell’ambiente,
nell’aria, incoscienti e benevole.
Io vorrei scappare, odio
le pareti, odio le sedie, odio gli angoli bui.
Che si sgretoli tutto in
sabbia sottile,
che oltre le pareti
compaia il mare,
che al posto di scatole
parlanti
ci siano le stelle ad
illuminarti il viso,
che possa tuffarmi nel tuo
sguardo
e guardarti senza
maschera, liberi e nudi,
scivolandoci nell’anima.
La avverto, ogni volta che
entro in quei luoghi, i tuoi,
la avverto nell’aria la
tua anima inquieta
prigioniera di aguzzini
senza forma,
sorridenti e normali,
terribilmente normali.
E vorrei che una lama mi
squarciasse,
che il mio sangue schizzi
ovunque
e che nel trambusto tu
possa scappare,
via lontana, senza affetti
e preoccupazioni,
libera da te stessa,
dall’inquietudine che mi
cattura ad ogni sguardo.
E vorrei stare lì a
respirare
l’aria densa dei tuoi
umori,
farla arrivare fino ai
polmoni
e perdermi nelle angoscie
e nelle gioie momentanee,
dimenticare chi sono e
girare gli angoli
che tu non hai mai
oltrepassato, per sapere di cosa hai paura,
che cosa ti rende
immobile,
che cosa ti fa fuggire da
te.
Vorrei fuggire anch’io,
invece resto lì
a osservarti senza
guardarti,
ascoltarti senza sentirti,
quando almeno il respiro
abbraccia,
quando almeno un sorriso
distratto parla.
Le stelle si spengono
nella luce di un sole che
non ho mai voluto,
ed il tuo profilo diventa
lontano paesaggio,
mi giro e vado.
Sperando che sia stato
solo un momento.
Scappo.