Saggezza e schiavitù

Argini.

Fiumi insensati,

paralleli, contrari.

Conche d’acqua stagna

tra due letti tramortiti dalla corrente,

primitivi e pendenti,

cementati e inerti.

Vomito pensieri tossici

in un piatto ricolmo di serafiche pietanze,

ingurgito senza passione

aspettando che dio esploda nell’esofago

e mi renda simile all’inferno.

Attendo invano senza disprezzarmi,

compatendomi,

deridendolo, deridendomi.

Osservo il copritavolo

non più ricamato da decenni di schiavitù

ma da secondi di giocoleria industriale

non capendo neanche perchè fino a due morsi fa,

credevo la schiavitù sempre uguale,

insopportabile,

per cui ogni scelta diventava prerogativa,

ogni snodo un percorso.

Non trovo né dio, né lucifero né me stesso

nel pane che secca il palato,

ritorno a cercare risposte nel sistema cardionervoso,

che dalla nascita mi tradisce felicemente,

mi rende, mi vive,

mi spazza via e mi titanizza.

Vomito ancora,

tutto quello che ho ingurgitato,

dalle pietanze alle parole,

senza gemiti, senza fiotti acidi,

quieto, controllato,

immobile, rassicurante.

Non c’è schiavitù più terrificante

di quella che si desidera,

si degusta, si annaffia,

si rutta.

Il saggio sarà ricordato, osannato,

citato, simbolizzato.

Noi, schiavi inquieti,

saremo lasciati a seccare

come le erbacce ammucchiate oltre il muro,

e ridaremo alla terra un po’ della fertilità

che i cauti hanno sterilizzato.

Il saggio pronuncia sempre una parola di troppo,

sbadatamente.

Noi ci ostiniamo ad esprimere sempre un concetto di troppo,

incautamente.

Il saggio si ostina a vivere

cercando di meglio morire.

Noi desideriamo morire

cercando di meglio vivere.

Immagine Sfocata.

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