Commento comparso sulle pagine regionali de Il Quotidiano della Calabria in data 8 Dicembre 2011.
Titolo originale: Buon appetito Italia.
Non ho mai avuto dubbi sul controllo quasi totale che i grandi poteri economici, associati ai mass media, hanno sulla nostra vita, persino sulla nostra quotidianità. Eppure devo ammettere di essere rimasto a bocca aperta quando il mio fruttivendolo, scegliendo due pomodori da imbustare, ha cominciato a parlarmi con tono preoccupato dello “spread”. Anche se è un palliativo, preferivo quando parlava di calcio.
La lingua del mercato e della globalizzazione è sicuramente l’inglese, e “spread” è ovviamente un termine anglofono. Tv e giornali lo associano solitamente all’economia, al rapporto tra i titoli di stato italiani e tedeschi, ma spread, come molti termini di quella gran lingua (si fa per dire) che è l’inglese, ha una trentina di significati, uno dei quali è “banchetto”. Tenetelo bene in mente.
In questa fase sono in molti a parlare di compostezza del popolo italiano, di senso di sacrificio, di responsabilità nazionale, persino di patriottismo, come se tra Carlo Pisacane ed uno che prende una supposta enorme, stringendo i denti in silenzio, non ci sia nessuna differenza. Non sarebbe meglio chiamare le cose col proprio nome?
La crisi è una stucchevole messa in scena, e che vi partecipino le istituzioni è ovvio, dal momento che come sempre si occupano disonorevolmente di difendere il proprio posteriore, ma non mi sarei aspettato anche la zelante partecipazione di intellettuali, opinionisti, editorialisti. Possibile che neanche ora, durante il prologo dell’ennesimo ingiusto disdicevole dramma, ci sia qualcuno che abbia il coraggio di buttare giù le quinte di questo teatro?
In accordo con i potentati economici d’Europa vorrebbero farci credere che se questo folle sistema economico sta colando a picco la colpa è nostra: dell’operaio, del commerciante, dell’impiegato pubblico, dell’artigiano, del camionista.
È colpa nostra se in questo sistema conviene più importare le arance dalla Spagna che raccogliere quelle di Rosarno o della Sibaritide? È colpa nostra se conviene più produrre monnezza che produrre pane? È colpa nostra se conviene più produrre armi e guerreggiare, assoggettare, schiavizzare, che risanare, condividere, cooperare?
Con monologhi, sermoni e numeri è in atto il tentativo di far sentire in colpa un intero popolo per le scorribande parassitarie di una minuscola parte di esso, per altro ben riconoscibile, affinché il popolo accetti ancora una volta di pagare e farsi fregare.
Ecco perchè Formigoni e colleghi vanno dicendo da settimane che “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”, insultando sfacciatamente milioni di italiani che non sanno come arrivare a fine mese non da ora, ma da almeno dieci anni. Come osano questi signori, dall’alto dei loro sederi scaldati dal velluto delle poltrone di palazzo, ad attribuire colpe al popolo a cui hanno scippato salute, soldi, dignità, acqua, terra ed aria?
L’unica colpa di cui può essere accusato il Popolo italiano, e non solo quello italiano, è l’ignavia, ed è su quella che puntano i nostri detrattori e manovratori. Brandendo la colpa e l’ignavia, un pugno di amministratori delegati, sceicchi, professori e figli di papà sta inasprendo le condizioni della nostra schiavitù mascherata da progresso o liberalismo. Voi come la chiamereste una società dove le masse lavorano per quarant’anni ed un pugno di caporali ben vestiti decide che quaranta non sono più sufficienti per riposarsi un po’? Come la chiamereste una società dove l’aumento dell’età pensionabile è correlato alle aspettative di vita? Non sia mai che gli schiavi campassero cinque anni di troppo, che lavorino fino all’esaurimento, come le batterie.
Ed è sulla colpa e l’ignavia che il potentato sta sviluppando la trama di questa orrenda commedia, la crisi, con cui intende ipnotizzare il popolo e massimizzare una grande stagione di arretramento sociale e di barbarie.
Buttassimo giù le quinte, non avrei dubbi su cosa troveremmo dietro la scenografia. Un lungo tavolo e cinquanta, massimo sessanta persone sedute comodamente intorno ad esso che addentano e mordono qualcosa. È un banchetto, dai, uno spread.
Tra i banchettanti molti sono sicuro di non averli mai visti, qualcuno invece si. Sulla destra gli amministratori delegati delle multinazionali italiane, qualcuna delle quali vorrei onorar di mensione: Fiat, Eni, Enel, Marcegaglia, Finmeccanica, Impregilo, tutte con profitti miliardari. Sulla sinistra i politici influenti ed i mafiosi, posti dalla stessa parte per comodità, visto che qualcuno ricopre entrambi i ruoli. Al centro i banchieri. Sul fondo della sala, in un angolo buio, i grandi fiancheggiatori: sindacalisti e direttori di giornali e televisioni.
Mangiano tutti, addentano voracemente i nostri sacrifici.
Buon appetito Italia.