Considerazioni sulla Nota 160

A proposito della nota 160 del 4 settembre 2009

di Flavio Stasi

Studente della Facoltà di Ingegneria, Università della Calabria

Nota

Nel tempo del “rumore” libero della rete contrapposto alla orripilante sinfonia proprietaria dei mezzi comunicativi di massa, anche coloro che fanno militanza politica sono ormai più abituati a leggere e criticare le analisi altrui piuttosto che sforzarsi di farne delle proprie e collettivizzarle. Collettivizzare significa confrontarsi apertamente in assemblee ed incontri, quindi mettersi in discussione. Per questo è desiderio dell’autore che questo breve scritto venga discusso, corretto, migliorato e superato da confronti e approfondimenti, nonché da ulteriori documenti, in quanto ha l’aspirazione di essere solo un umile spunto di discussione.

1. Introduzione

Il 4 settembre 2009 il ministro Gelmini ha diffuso una nota ministeriale, protocollo 160, che sta generando discussione in tutte le facoltà del paese, in vista della riorganizzazione dei corsi di laurea.
Come movimento studentesco (e non solo), nella prospettiva di incidere all’interno dei consigli di facoltà, ho ritenuto necessario analizzare la suddetta nota per fornire delle indicazioni utili, quanto meno, a non commettere errori di ignoranza.
Le valutazioni politiche sulla nota stessa non possono essere definitive né esaustive, in quanto ognuno degli argomenti richiede ulteriori approfondimenti.
L’autore si scusa in anticipo per eventuali cattive interpretazioni dei testi normativi, i quali spesso sono contorti e contraddittori tra loro.

La parte effettivamente normativa della nota 160 consiste, di fatto, esclusivamente degli allegati. Tuttavia il corpo della stessa contiene degli interessanti spunti di riflessione che val la pena esprimere.

2. I risultati della riforma ed il costo dell’università

La prima parte della nota insiste sugli effetti delle riforme didattiche, attuate in seguito alla Dichiarazione di Bologna in materia di armonizzazione dei sistemi formativi europei e, secondo la nota, al primo regolamento sull’autonomia didattica che dovrebbe essere il DM 509/1999, firmato dal ministro Zecchino. In realtà l’autonomia degli atenei nel sistema universitario italiano è stata introdotta dalla legge 341 del 1990.

Aldilà delle consuete nobili dichiarazioni di intenti, le quali infarciscono i primi paragrafi della nota, l’analisi dei risultati ottenuti attraverso il processo “riformatore” iniziato con la Zecchino-Berlinguer offre rilevanti spunti di riflessione, nonché tracce della volontà politica dei legislatori.

2.1    Autonomia, concorrenza ed offerta formativa

Il paragrafo 3 sottolinea che la strada intrapresa per ottenere un utilizzo efficiente delle risorse pubbliche è quella della competizione tra atenei, stimolata attraverso l’autonomia.
Si rende evidente, ancora una volta, come il ministero (da chiunque sia presieduto) non sia in grado di indirizzare il sistema universitario con criteri culturali, sociologici, scientifici e partecipativi, non facendo altro che alleggerirsi della responsabilità di disciplinarlo e sostenerlo, innescando tra gli atenei la medesima dinamica concorrenziale che caratterizza le attività a scopo di lucro di un qualsiasi settore di mercato. È evidente come il ruolo cruciale che svolge l’istituto universitario nello sviluppo storico, culturale e scientifico di una nazione (e oltre) non possa essere equilibrato attraverso la logica della concorrenza, soprattutto se impiantato in un sistema economico caratterizzato da rapporti di forza enormemente sbilanciati e invasivi della vita individuale e collettiva dell’intera popolazione. Quanti dal lontano 1990 denunciano la volontà politica di asservire l’istruzione pubblica, quindi buona parte della produzione culturale e della ricerca del paese,  alla logica oppressiva e selvaggia del mercato, tacciati per anni di catastrofismo o dogmatismo, come spesso accade, oggi vedono materializzarsi molte delle ipotesi intimate in quel frangente.
La rincorsa alle risorse pubbliche dovrebbe fondarsi sulla qualità della propria offerta formativa: come vedremo in seguito, in questa come nelle precedenti legislature, la presunta valutazione dell’offerta formativa, tesa a meglio ripartire le risorse pubbliche, non ha niente a che vedere con criteri qualitativi, bensì si basa su inopportuni criteri quantitativi o addirittura contabili.

2.2    Speculazione ed analisi dei costi dell’università pubblica

Analizziamo i paragrafi 4 e 5. Se è vero che, come i movimenti studenteschi avevano previsto e sostengono da tempo, le riforme non hanno ottenuto nessuno degli effetti auspicati dai loro sostenitori, contribuendo esclusivamente a favorire baronati accademici, la valutazione del ministero, riportata nella nota, risulta volutamente sproporzionata e strumentale. Come risaputo è volontà di questa legislatura tagliare drasticamente la spesa pubblica ed abbattere definitivamente lo stato sociale, istruzione pubblica compresa.
Per favorire tale proposito, la nota esprime la sostanziale stabilità dei tassi di passaggio[1], d’abbandono, di mobilità studentesca, degli studenti fuoricorso dal 1999 ad oggi, a fronte di un netto aumento dei costi sostenuti dal sistema universitario. Peccato che i primi siano espressi in termini percentuali, quindi in rapporto alla numerosità studentesca, mentre i secondi siano espressi in termini assoluti, tenendo conto soltanto dell’adeguamento al tasso d’inflazione.
La speculazione statistica, ovvero la volontà del ministero di “dopare” i dati a proprio vantaggio, risulta ancora più evidente continuando a scorrere il paragrafo. Infatti, per valutare ulteriormente l’efficienza della spesa delle risorse pubbliche da parte degli atenei, vengono tirati fuori una serie di parametri, ovviamente negativi.  Nell’ordine: risultati dei processi formativi appena esposti (?) ; risposta inefficiente alle esigenze di miglioramento qualitativo dell’offerta didattica; mancato incremento della attrattività (?) dell’offerta didattica [2]. I costi dell’università pubblica vengono osservati attraverso la lente d’ingrandimento, eppure l’aumento delle immatricolazioni non viene mai considerato né citato.

2.3    La proliferazione di sedi decentrate

Sempre nel paragrafo 5, viene individuata la proliferazione di piccole università, nonché di poli e sedi distaccate, come una delle cause dell’abnorme aumento della spesa pubblica:
<<[..] anche a causa della proliferazione delle sedi decentrate, che hanno oggi raggiunto un numero estremamente elevato e difficilmente sostenibile, atteso tra l’altro il fatto che in oltre 70 sedi è attivo un solo corso di studio e in ulteriori 30 ne risultano attivati solo 2. >>. Dal momento che il ministero è in possesso di dati così precisi (attraverso i rapporti del CNVSU e la banca dati dell’offerta formativa), perché per stroncare la proliferazione di sedi decentrate, spesso veri e propri capricci baronali, il ministero taglia un miliardo e mezzo dai fondi di sostentamento di tutto il sistema universitario? Sarebbe evidentemente bastato verificare l’utilità (dal nostro punto di vista soprattutto sociale) e la qualità delle sedi con un numero esiguo di corsi di studio. Prova evidente di come la politica anti-baronale sia solo uno specchietto per le allodole funzionale a coprire mediaticamente l’operazione di definitiva demolizione del sistema universitario pubblico a favore di un nuovo sistema formativo discriminante e confindustriale.

2.4    Aumento (sconvolgente?) degli insegnamenti

Nei paragrafi 6-7-8-9 si evidenzia che tra l’anno accademico 2000-2001 (ovvero prima che si applicasse il nuovo ordinamento didattico, DM 509/1999) e 2008-2009, vi è stato un considerevole aumento di corsi di studio, curriculum, insegnamenti: secondo l’esposizione del ministero, tali dati dovrebbero palesare la cattiva gestione delle risorse in virtù della qualità dell’offerta formativa. È sicuramente veritiero che parte dei nodi formativi creati dopo la riforma Zecchino-Berlinguer rappresentano speculazioni baronali, rese possibili dall’autonomia nei percorsi didattici. Tuttavia la scomposizione dei vecchi insegnamenti e l’istituzione di un numero ampiamente maggiore di moduli e mini-insegnamenti, era ampiamente prevista: non poteva essere altrimenti dal momento che si passava da periodi didattici semestrali (addirittura alcuni erano ancora annuali) a periodi didattici trimestrali. L’istituzione dei corsi di studio triennali e dei curriculum favoriva dei percorsi formativi sempre più specifici e specializzati, il che non poteva che scaturire nell’ampliamento numerico dei corsi di laurea e degli indirizzi.
In pratica, nel tentativo di esaltare la cattiva applicazione delle riforme didattiche e dell’autonomia , la nota non fa altro che evidenziarne le pecche, dimostrando delle ovvietà.
Lo scopo di tale tentativo non è di certo quello di mettere in luce le speculazioni della casta baronale, bensì quello di dipingere il sistema universitario statale come un istituto pachidermico e sprecone, preparando e giustificandone quindi la “punizione”.

2.5    Modello comunicativo dei livelli istituzionali

A conclusione di questo capitolo si vuole sottolineare la strategia comunicativa del governo in carica nonché delle massime autorità universitarie, facendo riferimento a casi specifici, ma con la convinzione di descrivere dei modelli comunicativi e non dei casi sporadici. Partiamo dalle campagne mediatiche del governo.

Risulta marcata l’analogia nelle strategie comunicative (mistificatrici) e di intervento del M.I.U.R. e del ministero della funzione pubblica. Simile alla tecnica del capro espiatorio, il ministero produce una campagna mediatica e populista contro una figura discussa o discutibile, effettivamente esistente, ma comunque distante dall’effettivo tessuto lavorativo generale che sostiene il settore.
La campagna mediatica fa in modo che, agli occhi del paese, il settore preso di mira diventi interamente e indiscriminatamente assimilabile a tale malvista figura, dunque pronto per essere condannato in pubblica piazza a furor di popolo.
Così l’impiegato dell’amministrazione pubblica diventa indiscriminatamente “fannullone”. Il paese in crisi, accecato dalle crescenti ristrettezze economiche, accetta volentieri un nemico preconfezionato su cui sfogare le proprie frustrazioni. Si noti quanto non sia necessario che lo spettatore di questo teatrino non appartenga al settore “sotto attacco”: nel caso del dipendente statale, i nemici diventano direttamente i propri colleghi, per la felicità, oltre che del governo, di dirigenti arraffoni che, a tutti i livelli, fanno della mancanza di unità dei lavoratori una delle proprie forze.
La vera beffa di un tale scenario è che i fannulloni, quelli veri, nella stragrande maggiorparte dei casi sono stati inseriti nella pubblica amministrazione proprio dal sistema politico, attraverso clientelismo, nepotismo, voto di scambio. Inoltre, godendo della protezione di apparato, il vero fannullone subirà piuttosto relativamente le conseguenze di eventuali provvedimenti restrittivi. Chi invece li subirà senza alcuna attenuazione sarà quella grande maggioranza di lavoratori onesti che, fino ad oggi, ha tirato avanti la carretta della pubblica amministrazione, sopperendo anche alle negligenze di raccomandati e figliocci.
Nell’università, con diverse connotazioni, troviamo un tessuto similare, seppur le stratificazioni sono più numerose e complesse. Fino ad ora le misure intraprese dal governo non hanno minimamente intaccato lo strapotere della casta baronale, la quale, piuttosto, è stata  rafforzata attraverso l’inasprimento del ricatto subito da intere generazioni di dottorandi e ricercatori, precari e non, con sempre meno certezze per il futuro. Eppure, agli occhi dell’opinione pubblica, le misure introdotte dal ministro Gelmini sono doverose e dirette contro quello che viene identificato come un covo di spreconi e perditempo. La diminuzione di risorse disponibili a fronte di un largo bacino di aspiranti ricercatori e docenti stabili, in un contesto di favoritismi, ricatto e discrezionalità, ricrea la guerra intestina precedentemente descritta per gli impiegati statali “classici”: dottorandi e ricercatori, precari e strutturati, assegnisti e tutte le altre figure della struttura accademica, si ritrovano coinvolti in un meccanismo concorrenziale che produce indifferenza ed individualismo, indebolendo quindi eventuali lotte e rivendicazioni.

A tal proposito è molto interessante analizzare l’atteggiamento dei rettori che, abbastanza omogeneamente in tutta Italia (con particolare rilevanza negli atenei AQUIS) stanno adottando strategie comunicative molto simili[3].
Oltre a giustificare qualsivoglia misura con l’esigenza di far quadrare il bilancio, come un “buon” vecchio padrone di fabbrica farebbe di fronte ad uno stuolo di lavoratori licenziati o cassa-integrati, i magnifici sono soliti “ammettere” che gli sprechi denunciati dal ministero sono stati effettivamente perpetrati negli anni; inoltre tengono a sottolineare che far parte della “famiglia” dei lavoratori statali offre, tutto sommato, ancora delle condizioni lavorative piuttosto invidiabili, soprattutto se confrontate con l’ampia fetta di disoccupati e precari che caratterizza il tessuto del paese. In buona sostanza i rettori tentano di infondere tranquillità ed allo stesso tempo suscitare  senso di colpa in tutti coloro che nutrono delle aspettative di vita migliori di quelle attuali, in modo da controllarne l’inquietudine diffusa e stemperarne quindi la legittima rabbia. Per quanto riguarda le presunte ammissioni, si tratta del tentativo di celare demagogicamente che le nuove generazioni si trovano a pagare, di fatto, tutte le conseguenze del processo di trasformazione e delle speculazioni della classe dirigente universitaria e della casta baronale, le quali piuttosto che essere penalizzate, verranno gratificate con un’organizzazione centralizzata e verticistica.
Inoltre è prassi dei suddetti quella di evidenziare le  differenze tra le varie categorie che compongono il tessuto accademico (dottorandi, ricercatori precari, ricercatori strutturati) in modo da indebolirne la coesione e le rivendicazioni.
Fino ad ora, data l’entità della partecipazione di queste figure alle mobilitazioni (in particolare gli strutturati), tali strategie hanno probabilmente ottenuto i risultati sperati.

Per comporre i primi tasselli dell’enorme fregatura in cui sta cadendo l’intera popolazione italiana, abbiamo dovuto aspettare il giorno delle tasse universitarie, ma sicuramente non è abbastanza e, purtroppo, è solo l’inizio.

3. Le linee guida del governo

3.1 Migliorare l’università pubblica strozzandola.

La nota ribadisce la <<partecipazione molto incisiva del sistema universitario statale agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica>> (legge 133/08) nonché la volontà di <<migliorare l’efficacia e l’efficienza nell’utilizzo delle risorse>> attraverso la rimessa in circolo di parte del FFO tagliato (legge 1/09). Il paragrafo undici sottolinea l’intenzione del governo di procedere nella ristrutturazione del sistema universitario sul doppio binario risanamento economico-miglioramento dell’offerta formativa che tradotto in termini reali corrisponde alla strategia di migliorare l’università pubblica sottraendole risorse. Gli obiettivi perseguiti dal ministero sono tre e decisamente ambiziosi, in questa prima parte saranno soltanto enunciati.
<<Determinazione dell’offerta formativa effettivamente sostenibile tramite la definizione di più adeguati parametri quantitativi>>.  Una nota a questo punto specifica che: <<A tal fine non è sufficiente che, nell’interesse pubblico e degli studenti in particolare, ai corsi di studio sia assicurato il livello minimo di risorse che consenta il corretto funzionamento dei corsi stessi, ma è altresì necessario che siano disattivati i percorsi formativi non essenziali e sia resa più razionale l’organizzazione delle attività didattiche, in particolare delle Università statali, in relazione alle risorse disponibili.>> Si tratta di una concretizzazione delle reali intenzioni del legislatore, che finalmente abbandona inutili cornici sulla qualità dell’offerta formativa e parla di offerta formativa sostenibile ovvero di riorganizzare l’attività didattica in base ai fondi disponibili (ergo fondi sempre più esigui messi a disposizione dall’inquilino del Palazzo delle Finanze), per cui si rende necessaria l’abolizione di corsi di laurea, curriculum ed insegnamenti definiti non essenziali. Ci chiediamo, in base a quali criteri? Lasciando ai consigli di facoltà la possibilità di deliberare in tal senso, senza alcuna indicazione né criterio formativo, le scelte saranno probabilmente determinate da scontri interni ai consigli stessi, in cui prevaleranno i gruppi o singoli docenti di maggiore peso nella facoltà. Nel migliore dei casi lo scontro sarà tra due baroni o gruppi di baroni, almeno uno dei due perderà.

3.2 Strategia del movimento studentesco

La posizione del movimento studentesco su questo punto è molto delicata.
Di positivo c’è la diminuzione degli insegnamenti e dei curriculum, che potranno quindi essere riaccorpati con l’auspicio che questo diminuisca l’inopportuna frammentazione nonché l’eccessiva specificità delle conoscenze trasmesse.
Il problema consiste nel fatto che sicuramente questa non è l’intenzione del legislatore, che invece intende semplicemente tagliare l’offerta formativa per diminuire i costi della didattica: il rischio è quello di vedersi precluse delle scelte senza ottenere alcun miglioramento.
Inoltre le modalità di scelta dei curriculum, dei corsi di studio e degli insegnamenti da sopprimere rischiano di rispondere esclusivamente a logiche di potere interno alle facoltà, senza alcun riguardo verso il valore formativo delle attività.
Probabilmente in questo frangente sarebbe opportuno non opporsi politicamente a tutti i contenuti normativi della nota, bensì ai principi fondanti della stessa ed al macabro impianto ideologico che nasconde, cercando non esclusivamente di ostacolarla ma, quando possibile, di spingerla in proprio favore: incidendo nei processi di scelta dei consigli di facoltà, privilegiando attività formative di valore, mettendo i bastoni tra le ruote ai baronati, difendendo specificatamente l’eterogeneità dei corsi di studi e non la specializzazione. Purtroppo il movimento studentesco dovrebbe essere più solido e meglio organizzato per poter sostenere organicamente ed efficacemente delle posizioni simili su tutto il terreno nazionale. È comunque ovvio che questa informativa va inserita nel lungo e talvolta sottile processo di demolizione dell’università pubblica ed apre la strada a nuove e devastanti controriforme.

La nota specifica che <<Le Università, peraltro, possono fin d’ora mettere a punto l’offerta formativa per l’a.a. 2010/2011 tenendo presenti gli obiettivi qui esposti, anche valutandone attentamente le implicazioni per quanto riguarda la prosecuzione dell’attività nelle sedi decentrate>>. In sostanza fornisce delle ulteriori linee guida agli atenei nella riorganizzazione della didattica, da inserire nel processo avviato dal DM 544/2007 (Ministro Mussi) e che avrebbe dovuto concludersi con l’anno accademico 2010-2011.

4. Il DM 544/2007 e l’intervento della nota 160

4.1 Docenze di ruolo e tempistica

Il DM 544 legifera, tra le altre cose, in materia di numerosità dei docenti e degli studenti per corso di laurea, sia esso triennale, specialistico, magistrale.
In particolare agli articoli 4, 5, 6, nonché nell’allegato B, è specificato il numero minimo di docenti di ruolo necessari per attivare un corso di laurea, tenendo conto della classe del corso di studi[4], della tipologia, della numerosità studentesca. Sono regolamentate le modalità di transizione a cui possono attenersi gli atenei (DM 544, Allegato B, Comma 1.3), per evolvere i corsi dell’ordinamento didattico facenti riferimento al DM 270/2004 (Ministro Moratti). È regolamentata la numerosità degli studenti in base al gruppo di appartenenza del corso di studi, ovvero il numero di studenti iscritti necessario affinché il percorso formativo possa essere effettivamente attivato.
Come detto, fatti salvi casi specificati dal decreto stesso, la nuova normativa sarebbe dovuta essere assorbita dagli ordinamenti didattici non oltre il 2010.
L’articolo 5, titolato “Piani di raggiungimento dei requisiti necessari” accorda ad una serie di università (i cui requisiti sono specificati al comma 1 dell’articolo stesso) la possibilità di attivare dei corsi di studio seppur non in possesso della numerosità di docenti di ruolo necessaria, a patto di adottare un piano di raggiungimento della docenza necessaria che duri massimo 5 anni.
Il primo punto dell’allegato B, oltre a definire il numero di docenti di ruolo necessari per attivare un percorso formativo, definisce delle norme che vanno ad incidere sul numero stesso:
Nel caso in cui una facoltà desideri attivare un corso di laurea, se “nello stesso ateneo, nella stessa provincia o in una provincia confinante è già attivo un corso di laurea della stessa classe” (definizione di corsi omologhi) il numero di docenti necessari è ridotto di una unità.
Il punto 1.3, titolato “Trasformazione graduale dei corsi di studio” prevede che si possano attivare corsi di studio con un numero ridotto di docenti di ruolo, a patto che si abbia la disponibilità del numero di docenti necessario per garantire la corretta erogazione dell’offerta formativa. Avviato il percorso di trasformazione graduale, la tabella 5 sancisce il progressivo rapporto massimo consentito tra docenti di ruolo e docenti non di ruolo, in funzione del numero di anni dall’inizio della trasformazione stessa. In sostanza si regolamenta dettagliatamente la cadenza con cui si devono reperire docenti di ruolo per il corso di laurea, al fine di ottenere il rispetto della numerosità necessaria in un numero di anni ponderato rispetto alla tipologia di corso stesso.

Attraverso la nota 160 il M.I.U.R., in virtù delle linee guida del governo, degli enormi tagli applicati al FFO per contribuire al contenimento della spesa pubblica nonché delle restrizioni applicate al reclutamento con la legge 133/2008 (blocco del turnover) e successivamente ritoccate  con la legge 1/2009, ritiene che l’avvio di tali percorsi sia inopportuno, in quanto le università difficilmente avranno la possibilità di rispettarne le tappe stabilite. Dal momento che il ministero del tesoro ha vietato di fatto, ad atenei e facoltà, di istituire nuove docenze di ruolo, il M.I.U.R. “si accorge” che sarebbe impossibile, per i corsi i laurea in fase di trasformazione, soddisfare i requisiti necessari nel corso degli anni, così decide di eliminare questa possibilità. Si precisa che l’eliminazione normativa in oggetto riguarda soltanto le università statali, senza addurre alcun motivo plausibile che giustifichi una tale differenziazione (Nota 160, Allegato A, Punto 1, Paragrafo 28). Inoltre vengono eliminate le possibili riduzioni, chiamate strumentalmente nella nota “sconti”, della numerosità di docenza di ruolo necessaria in caso di corsi omologhi, con la seguente motivazione: tali norme rendono molto complicato il calcolo dei docenti necessari da parte degli atenei.
In attesa che il DDL Gelmini, approvato in questi giorni dal consiglio dei ministri, ci dia la possibilità di assumere personalità dalla comprovata capacità amministrativa (..) in grado di risolvere problemi matematici di tale complessità, prendiamo atto dell’incapacità del ministero di addurre motivazioni più credibili[5].

In sostanza la nota ministeriale 160 obbliga consigli di facoltà ed atenei ad attenersi al termine previsto nel DM 544 per la strutturazione del nuovo ordinamento didattico, ovvero non oltre l’anno accademico che avrà inizio nel 2010, eliminando le possibilità di proroga previste e motivate nel DM stesso.

4.2 Numero minimo di studenti per corsi di studi

L’articolo 6 del DM 544/2007, nonché la tabella 7 Allegato B dello stesso, stabiliscono il numero minimo di studenti immatricolati necessario per ottenere l’attivazione di un corso di studio. In realtà la norma prevede anche l’attivazione di corsi che non soddisfino i requisiti stabiliti nella tabella 7, purchè <<le Università indicano le specificità e le motivazioni strategiche che giustificano, comunque, l’attivazione di corsi di studio con un basso numero di immatricolati, ovvero gli interventi previsti per assicurare un incremento delle immatricolazioni (riprogettazione dei corsi, orientamento, comunicazione, ecc.) >>. Anche in questo caso il DM 544/2007 si occupa del “lavoro sporco”, sancendo dei criteri meramente numerici per giudicare l’efficienza dei percorsi formativi;  allo stesso tempo, probabilmente per favorire l’accettazione del principio senza riscuotere particolare opposizione, dimostrandosi comprensivo, lascia agli atenei la possibilità di ovviare ai vincoli attraverso un piano di interventi che dimostri le buone intenzioni.

Come costantemente accade da anni ed in più settori, il lavoro iniziato da “comprensivi” legislatori di centrosinistra viene concluso autoritariamente dai colleghi del centrodestra.
La nota 160 specifica che i corsi che non rispetteranno il limite minimo di immatricolati previsti verranno disattivati, inoltre verranno penalizzati finanziariamente i corsi che avranno un numero di immatricolati “basso”, anche se questo supera i limiti inferiori stabiliti. Siamo alla discrezionalità più assoluta, in quanto si decide di togliere ulteriormente risorse a tutti i corsi che, seppur superano il limite imposto, non superano quello scelto arbitrariamente ed occasionalmente dal ministero, né viene specificata la consistenza della penalizzazione finanziaria.
Come se ciò non bastasse, il M.I.U.R. giudica che <<tali valori minimi [stabiliti nel DM 544/2007] risultano poi generalmente fissati a un livello generalmente troppo basso>>. In virtù di ciò, viene prevista <<la ridefinizione, con valori più elevati, delle numerosità minime degli immatricolati>>.

4.3 Curriculum

La nota evidenzia come in molti casi la diminuzione dei corsi di studio, vincolati come detto dalla quantità di docenti di ruolo minima necessaria, sia stata compensata dalla proliferazione dei curriculum interni allo stesso corso di studi, i quali non devono soddisfare tali requisiti.
Per intenderci, un esempio di corso di studio è Corso di Laurea Triennale in Ingegneria Informatica, mentre i curriculum interni al corso di studi sono gli indirizzi Metodologico; Informatica ed Applicazione in Rete; Automatica. Secondo il calcolo del ministero, la media di attività differenti attualmente attivati tra i vari curriculum si quantifica in 52 CFU per le lauree triennali e 50 CFU per le lauree magistrali. Una tale differenziazione delle attività formative è evidentemente malvista dal legislatore, che intende quindi sottoporla ai requisiti sopra descritti ponendo un limite massimo di crediti “differenti” per poter istituire un curriculum. Tale limite è fissato a 40 CFU per le lauree e 30 CFU per le lauree magistrali. In caso si superino questi limiti, le università dovranno necessariamente provvedere ad istituire distinti corsi di studio e non distinti curriculum di uno stesso corso di studio.
Nella pratica, assodato quanto specificato dalle leggi 133/2008, 1/2009 e dal DM 544/2007, molti dei curriculum che dovranno trasformarsi in corsi di studio non soddisferanno i requisiti necessari in termini di docenza di ruolo. Dal momento che la legge 1/2009 (blocco del turnover) non permette l’istituzione di nuovi docenti di ruolo, molti dei curriculum sono destinati all’estinzione.

È importante sottolineare la tendenza baronale di sfruttare i curriculum per ottenere la titolarità di nuovi insegnamenti di fatto sostenuti didatticamente da ricercatori e dottorandi sottopagati e/o precari: come spesso accade però si sfrutta la diagnosi di un problema reale (che il movimento studentesco denuncia da un decennio) per giustificare norme scellerate, tutt’altro che mirate e le quali colpiranno come sempre le fasce deboli.  La diminuzione dei curriculum si tradurrà per lo studentato nella preclusione di scelte nell’offerta formativa.
Vale anche in questo caso, a mio avviso, la valutazione espressa nel paragrafo 3.2 di questo documento, ribadendo la delicata e necessaria differenziazione tra diminuzione dell’offerta formativa e despecializzazione dell’offerta formativa. La prima è la strada del ministero, la seconda quella degli studenti.

5. Sostenibilità didattica e requisiti organizzativi

L’articolo 9, comma 2, del DM 270/2004 recita:
<<Con apposite deliberazioni le università attivano i corsi di studio nel rispetto dei requisiti  strutturali, organizzativi e di qualificazione dei docenti dei corsi determinati con decreto del Ministro nell’osservanza degli obiettivi e dei criteri della programmazione del sistema universitario, previa relazione favorevole del Nucleo di valutazione dell’università >>. Su questa base normativa, la nota del ministero intende individuare <<appositi requisiti organizzativi [di valutazione dell’effettiva sostenibilità di ciascun corso di studio con riferimento agli insegnamenti e alle altre attività formative attivabili] che consentano di ridurre la proliferazione e la frammentazione degli insegnamenti>>.
La nota 160 prevede l’individuazione di criteri numerici in grado di quantificare  il numero massimo di ore dedicate alla didattica assistita, ovvero la somma dell’attività didattica istituzionale dei docenti di ruolo e dell’attività didattica complementare svolta da contrattisti esterni, assistenti, supplenti, ricercatori, assegnisti, dottorandi, sia a titolo oneroso che gratuito, senza tener conto dello studio autonomo e di altre attività formative di tipo individuale che, lo ricordiamo, sono comunque conteggiate nei CFU di ogni attività formativa.
Il numero massimo di tali ore H è definito come:
H<=(100 * Ndoc) * (1+x)
dove
Ndoc :    numero di professori e ricercatori di ruolo dell’ateneo
x:    la quota convenzionale di didattica assistita stabilita nel contratto, che non può             essere superiore al 20%

In attesa di una nota ministeriale che elimini questa formula in quanto eccessivamente complessa (a dire la verità il DM 544/2007 ne presentava una ancora più contorta) e in attesa ancora una volta di personalità dalla comprovata capacità amministrativa che risolvano il dilemma, possiamo rilevare come la quantificazione dell’attività formativa, senza alcun criterio qualitativo, rappresenti ormai l’unico parametro di valutazione di atenei e corsi i studio. Il percorso di quantificazione iniziato più di un decennio fa con la bozza martinotti sta raggiungendo oggi risultati estremi, perseguendo in pieno l’obiettivo non dell’armonizzazione dei sistemi formativi europei, come dichiarato, quanto quello della mercificazione delle attività formative, rendendo idoneo il sistema universitario alla valutazione del mercato, conseguentemente asservendolo ad esso sia in termini di didattica che di ricerca, svolgendo allo stesso tempo il ruolo di motore culturale del pensiero unico.

6. Insegnamenti, moduli, crediti formativi

E’ doveroso sottolineare che i paragrafi 46 e 47, allegato A, Punto 2, affrontano la questione dei crediti per insegnamento. La nota prevede che, attraverso opportuno decreto ministeriale, verrà stabilito che ogni insegnamento dovrà obbligatoriamente corrispondere a non meno di 6 CFU.

7. Mobilità studentesca

Il capitolo Obiettivo B – L’eliminazione degli ostacoli organizzativi e formali alla libera circolazione degli studenti dal titolo ambizioso e promettente, contiene forse la migliore produzione che il M.I.U.R. di questa legislatura abbia mai prodotto, sia in termini di contenuti analitici che in termini di mistificazione dell’attività di governo. Il paragrafo 50 recita:
<<Il principale ostacolo alla libera circolazione degli studenti è dato dai costi che gli stessi devono sostenere per potere studiare nella Università desiderata, ma distante dal proprio comune di residenza, tanto ché nelle Linee guida del Governo è stata sottolineata l’esigenza di rivedere le norme sul diritto allo studio e di potenziare le risorse destinate alla costruzione di residenze universitarie, al fine di portare lo studente verso le sedi universitarie e non viceversa.>>
Gli ostacoli che portano uno studente a non scegliere la sede universitaria in virtù dell’offerta formativa, opportunamente qualificata in termini concorrenziali, bensì a scegliere quella meno distante dalla propria residenza, sono caratterizzati da ovvi fattori economici.
Come sempre, prescindendo dalle dichiarazioni di intenti, per eliminare tali ostacoli la nota prevede di fatto due misure.
1.le date di inizio e fine anno accademico dovranno in futuro essere identiche per tutti gli atenei.
2.Il numero di ore di didattica frontale (ore d’aula) nonché il rapporto tra questo ed i crediti formativi di ciascun insegnamento, dovrà essere diversificato in base alla classe d’appartenenza del corso di laurea.

È venuta anche a voi la voglia di andare a studiare a Firenze?

8. “Obiettivo C”. Continuare con la falsa meritocrazia, premiare le università azienda, favorire l’intrusione dei privati nell’università pubblica.

Questo allegato, poco più di una pagina, è quello che meglio determina le intenzioni politiche del legislatore, in continuità con la legge 1/2009, anticipando alcune prerogative del DDL attualmente in discussione.
I significativi passaggi non hanno bisogno di alcuna spiegazione, in quanto va dato atto che il ministro, per una volta, ha specificato piuttosto bene, seppur nel solito tono demagogico, le proprie intenzioni.
Par. 55: <<Per assicurare un’offerta formativa qualificata, occorrerà tuttavia prendere in considerazione anche ulteriori interventi, utilizzando sia lo strumento normativo, sia quello finanziario, definendo criteri di ripartizione delle risorse basati su appropriati indicatori di risultato, che premino le Università migliori anche dal punto di vista della qualificazione della propria offerta formativa.>>
Par. 56: <<Dal punto normativo si ritiene necessario innanzitutto potenziare l’efficacia della valutazione interna agli Atenei, prevedendo [..] che i membri dei nuclei di valutazione di Ateneo siano in maggioranza esterni; [..] >>
Par. 57: <<Con riferimento agli strumenti finanziari si fa presente che, ai fini della ripartizione del fondo di finanziamento ordinario:
Verranno previste [..] apposite modalità di penalizzazione per le Università con corsi di studio aventi un basso numero di immatricolazioni e caratterizzate da una bassa utilizzazione della propria docenza di ruolo;
Verranno premiate le situazioni caratterizzate da un grado di razionalizzazione dell’offerta più elevato rispetto ai livelli minimi/massimi previsti, con riferimento, fra l’altro, al numero medio di esami per ciascun corso di studio, inferiore ai livelli indicati dal [precedente decreto del ministro Mussi] tenuto conto dell’eventuale organizzazione in moduli degli stessi>>

L’inserimento di membri esterni all’interno dei nuclei di valutazione[6], unico passaggio che si ritiene meritevole di discussione, tenta di celare la volontà del ministero, che non è quella di migliorare l’imparzialità degli stessi, bensì di inserire discrezionalità all’interno dell’organo in modo da favorire l’inserimento di personalità interessate a dirigere l’attività universitaria in proprio favore o in favore di soggetti terzi.

9. Conclusioni

Tentando di offrire un punto di vista organico sulla nota ministeriale 160, risulta ancora una volta evidente (come nella legge 133/2008 e 1/2009) l’atteggiamento contraddittorio del governo nel  considerare l’autonomia degli atenei solo quando questa riveste una certa utilità nel favorire le manovre dello stesso.
Questo, in verità, svela il vero ruolo che l’autonomia didattica ha rivestito nella storia del sistema universitario italiano, come strumento funzionale alla dequalificazione del sistema formativo pubblico, alla destrutturazione del diritto allo studio, all’asservimento delle strutture universitarie al tessuto finanziario (non culturale e scientifico) del paese e del territorio. Da sottolineare il progressivo avvicinamento verso la meta dell’abolizione del valore legale del titolo di studio, giro di boa che aprirebbe ulteriori scenari di discriminazione e corruzione dell’istruzione pubblica.
Specificatamente alla nota, come esplicitato nel paragrafo 3.2, la posizione del movimento studentesco è piuttosto delicata, e richiede, sullo sfondo di un necessario e forte rigetto, un’attenta condotta affinché non si cada in contraddizioni.
Le direttive veicolate dal ministero quando era presieduto da Mussi, ristrette ai termini di riaccorpamento degli insegnamenti e fermo restando la necessità dell’abolizione del 3+2 e dei crediti formativi, mai presa in considerazione dal ministro stesso (se non in campagna elettorale), possono essere giudicate positivamente. Di diversa natura e spessore è l’accorpamento dei corsi studio che, se inquadrati nella logica in cui muove il DM 544, rischiano di rappresentare l’ennesimo prezzo da pagare per gli studenti, che si vedranno precluse delle già poco soddisfacenti scelte nel proprio percorso formativo.
La nota 160 estremizza ed esalta tale logica, mettendo in costante relazione il riordino didattico degli atenei con il contenimento della spesa pubblica e l’ingessamento del corpo docente.
Tuttavia, per valutare i reali effetti della nota 160 sul riordino della didattica e conseguentemente sui Consigli di Facoltà dei nostri atenei, dovremmo avere a disposizione i dati relativi all’utilizzo dei piani di raggiungimento graduale previsti dal DM 544, sia in termini quantitativi che qualitativi, in quanto aldilà di questi particolari percorsi, il nuovo ordinamento didattico sarebbe dovuto comunque entrare in vigore con l’inizio dell’anno accademico 2010-2011 in tutte le università statali. Sarebbero dunque da attribuire a Mussi, e non alla Gelmini, eventuali responsabilità.
Per quanto riguarda le sedi decentrate, i poli e le piccole università, è evidente come il governo faccia leva sull’esistenza di contraddizioni baronali per travolgere l’intero universo delle università medio piccole, che a volte rappresentano un reale baluardo di democrazia, utili per favorire il diritto allo studio, fonti di ricerca e didattica eccellente. È necessario quindi che la valutazione non sia banalizzata in un senso o nell’altro, ma gli studenti dovranno difendere con forza tutti i presidi che valuteranno di effettiva utilità sociale e formativa.
È evidente come determinati obiettivi sarebbero più facilmente perseguibili se il movimento studentesco fosse effettivamente organizzato attraverso la democrazia diretta; finché ciò non accade, ci si può limitare solo a fornire, mutuamente, dei vaghi indirizzi.
Di certo gli studenti devono rigettare interamente l’intero impianto ideologico su cui si fondano le norme, in parte descritto in questo documento, e che accomunano le riforme didattiche ed organizzative dell’università italiana almeno dal 1993 in poi.
Si tratta dell’idea di un’università priva del suo scopo fondante: la formazione di individui preparati e consapevoli, e spoglia del ruolo di motore della cultura e della ricerca, in ambito nazionale ed internazionale.
Si tratta dell’idea di un’università azienda, in cui i criteri contabili sovrastano le valutazioni qualitative della didattica, capace di fornire le sole conoscenze necessarie per attività professionali di basso profilo, funzionali al mercato del lavoro precarizzato e selvaggio.
Si tratta dell’idea di un’università cambiata dalle lobby economiche del paese ed in futuro gestita da quelle stesse lobby.
Si tratta dell’idea di una nazione e di una popolazione senza più neanche la prospettiva di un evoluzione sociale, da ottenere attraverso l’illusorio circolo virtuoso cui luoghi come l’università dovrebbero dar vita.

10. Riferimenti Legislativi

Decreto Ministeriale 22 Ottobre 2004, protocollo 270. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Pubblicato nella gazzetta ufficiale 12 Novembre 2004, protocollo 266. Titolo: “Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999, n. 509 ”.

Decreto Ministeriale 31 Ottobre 2007, protocollo 544/2007. Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Titolo: “Definizione dei requisiti dei corsi di laurea e di laurea magistrale afferenti alle classi ridefinite con i DD.MM. 16 marzo 2007, delle condizioni e criteri per il loro inserimento nella Banca dati dell’offerta formativa e dei requisiti qualificanti per i corsi di studio attivati sia per le classi di cui al D.M. 3 novembre 1999, n. 509 e sia per le classi di cui al D.M. 22 ottobre 2004, n. 270 ”.

Decreto Legge 25 giugno 2008 , protocollo 112 . Titolo: “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria. ”. Convertito in legge 6 Agosto 2008, protocollo 133/2008.

Decreto Legge 6 novembre 2008 , protocollo 180 . Titolo: “Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca”. Convertito in legge 9 Agosto 2009, protocollo 1/2009.

Nota Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca, 4 settembre 2009, protocollo 160. Oggetto: “Ulteriori interventi per la razionalizzazione e qualificazione dell’offerta formativa nella prospettiva dell’accreditamento dei corsi di studio ”.

NOTE

[1] : Sia dalla scuola superiore all’università che dalla laurea triennale alla laurea magistrale.
[2] : Una delle perverse distorsioni del sistema formativo concorrenziale consiste nel favorire la fornitura di una offerta formativa attrattiva, ovvero in grado di attirare nuovi studenti, in modo da ottenere più risorse pubbliche. Non è affatto surreale, quindi, prevedere offerte formative realizzate col contributo di esperti di marketing oppure fattori di attrazione generati  da prove d’esame semplici piuttosto che dai contenuti interessanti.
[3] : Il profilo è stato tracciato attraverso esperienze personali, nonché testimonianze di studenti, ricercatori e docenti sparsi sul territorio nazionale.
[4] : Le classi dei corsi di studi sono state istituite dal DM 509/1999, che recita: <<I corsi di studio dello stesso livello, comunque denominati dagli atenei, aventi gli stessi obiettivi formativi qualificanti e le conseguenti attività formative indispensabili di cui all’articolo 10, comma 1, sono raggruppati in classi di appartenenza >>
[5] : La piena comprensione dell’intero periodo, chiaramente provocatorio, è vincolata alla conoscenza del DDL stesso.
[6] : Come si vedrà nel DDL attualmente in discussione la strategia non riguarda esclusivamente l’organo di valutazione

Finita di scrivere il 16 novembre 2009


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