Monti, paradigma della democrazia italiana ed occidentale.

di Flavio Stasi

Commento comparso sulle pagine regionali de Il Quotidiano della Calabria in data 19 dicemnre 2012

Mancano meno di tre mesi alle prossime elezioni, almeno questo sembra lasciar intendere il Ministro degli Interni, ed un alone di mistero alberga ancora intorno a quella che dovrebbe essere una delle tornate elettorali più importanti nella storia di questa zoppa repubblica.

Non si conosce quali saranno le regole per la presentazione delle liste, non si conosce la data certa, non è chiaro se l’attuale presidente del consiglio sarà in ballo o meno, non si conoscono chi e quanti saranno i candidati, non è chiaro neanche chi lo deciderà: i partiti italiani? I partiti europei? Il Papa su twitter?

In verità, in un periodo dove sembra regnare il caos, qualunque cittadino può osservare con chiarezza una delle più grandi bugie della storia dell’umanità: la democrazia occidentale.

In questa mazurca istituzionale e mediatica, infatti, il punto fermo è uno solo.

Monti è stato appoggiato e continua ad essere lodato da Bersani, leader della coalizione di centrosinistra, il quale ha più volte dichiarato che non scaricherà il professore: lo farà salire certo su qualche colle, sempre che, coerentemente a quanto dichiarato, eviterà di fargli prendere parte direttamente al suo Governo. Del resto, del fatto che l’agenda Monti sia sovrapponibile all’agenda Bersani, non se n’è accorto solo Vendola, o almeno questo traspare dalle sue dichiarazioni elettorali.

Casini, il leader della variegata compagine centrista ortodossa, quella dei divorziati contro il divorzio per intenderci, sono mesi che prega il premier per un Monti Bis, che passi il test delle urne sotto le effigie dell’UDC ed altre compagini annesse.

Berlusconi, in chiaro stato confusionale, dopo essere stato tirato per la giacca da Maroni, dal PPE, dalla Meloni, da Albertini, da Dell’Utri, da Costacurta, da El Shaarawi e da un paio di adolescenti scioccate dopo aver visto il suo make up alla presentazione del libro di Vespa, ha ceduto, offrendo il posto di candidato premier sempre a lui: Monti.

Quindi lo stesso personaggio, mai stato eletto e semi sconosciuto fino alla investitura di Re Napolitano, nonostante avesse svolto il ruolo di Commissario Europeo per il mercato interno e per la concorrenza, evidentemente con pessimi risultati, può essere il candidato, di fatto, di tutti gli schieramenti.

Cosa significa? Che noi cittadini, quando votiamo, influenziamo (senza decidere) la quantità di caratteri necessaria per stampare il nome del premier su un foglio A4. 7 per Bersani. 10 per Berlusconi. 5 per Monti il quale, anche in questo frangente, risulta il più parsimonioso.

In termini politici non contiamo una mazza, altrimenti ci sarebbero due, tre, quattro programmi incompatibili o quanto meno divergenti gli uni dagli altri, che quindi non potrebbero essere tutti rappresentabili dallo stesso interprete.

La verità è che il programma è uno, ed è quello religioso, ma questa volta il Papa ed il Vaticano non c’entrano nulla, quasi. Il programma è quello del liberismo, del dogma della concorrenza e del libero mercato e dei santoni che il mercato lo dominano, ovvero grandi banche e grandi investitori.

Vogliamo fare qualche esempio?

Prendiamo due frasi cardine dei salmi di questi ultimi anni, le quali, come ogni espressione religiosa, se analizzate con razionalità, sfiorano la demenza e vengono accettate unicamente per fede. Si trattasse di una questione spirituale, libertà imporrebbe il massimo rispetto. Trattasi, invece, di politica.

La prima frase: “dal momento che viviamo di più, dobbiamo lavorare di più”. A si? Ma l’avanzamento tecnologico e la medicina non dovevano migliorare le condizioni della collettività? A voi sembra che lavorare, o quanto meno dover lavorare, dieci anni in più, sia un miglioramento? Perché vivere di più non può implicare, come sarebbe logico e legittimo, stare qualche anno in più a godersi i paesaggi o le partite di calcio?

Da qui la seconda frase: “abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità”. L’ho sentito dire a Monti, alla Fornero, a Bersani, al sindaco del rinnovamento conservatore Cattaneo, al sindaco del conservatorismo rinnovatore Renzi. L’unico che non lo ha detto, o almeno non mi è capitato di sentirlo, è il sempre allegro Cavaliere. Si vuol far credere, in pratica, che se io non avrò la pensione è colpa di mio padre, che l’avrà. Oppure che se io morirò in autoambulanza è perché mio nonno, dieci anni fa, è stato ricoverato un mese per un’appendicite. Insomma, una fregatura tra generazioni e noi trentenni siamo gli sfigati di turno. Ed io che credevo che il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo, come il diritto alla salute o ad una vecchiaia dignitosa, fosse frutto dell’alfabetizzazione dei popoli, del sinergico avanzamento tecnologico e della civilizzazione.

Bhe, assodato il problema, il liberismo propone anche la soluzione. Mio padre andrà in pensione più tardi per favorire la mia disoccupazione, così per combatterla potranno diminuire i diritti dei lavoratori affinché i ricatti aumentino, il tutto a favore di coloro che possono sopportare il peso della crisi e della concorrenza globalizzata, ovvero grandi banche e grande e grandi investitori.

Il liberismo è progettato per ottenere l’insostenibilità sociale dell’avanzamento tecnologico e del progresso, affinché questo non migliori le condizioni della collettività interrompendo l’affermazione di criteri di equità, permettendo iniquamente ad una ristretta cerchia di dominatori di conservare il proprio potere.

Monti, evidentemente, in questo momento ne è il migliore interprete, e per questo è corteggiato da tutti i fautori (formali e sostanziali) del bipolarismo, ovvero della trasposizione, in termini elettorali e istituzionali, della compatibilità di Governo. Compatibilità con cosa? Col liberismo, ovviamente.

Banalizzando, il Governo non può chiudere o regolamentare rigidamente i mercati nazionali: sarebbe protezionista o fascista. Vecchio. Il Governo non può neanche nazionalizzare le banche o espropriare le aziende dandole in gestione agli operai (magari aggiungendo coloro che sono stati già licenziati), sarebbe comunista. Vecchio.

Il Governo, nuovo, deve privatizzare, liberalizzare, vendere. A chi? Vediamo un po’, impariamo dalla storia d’Italia. Lei, signor Rossi, dipendente pubblico, comprerebbe l’Alfaromeo? No. Lo vuole fare lei, signora Bianchi, visto che è meccanico? No. Ho capito, lo farà lei allora, signor Agnelli. E chi vuole le autostrade, visto che sono in regime di monopolio di fatto, quindi sono un affarone? Le vuole lei, signor Verdi, fruttivendolo? O forse lei, signora Romano, disoccupata, così si aggiusta la vecchiaia? No, lo farà il signor Benetton, non c’è problema, anche se la sua vecchiaia e quella di tutta la sua famiglia, buon per loro, non sarebbe stata comunque particolarmente problematica. Insomma, a comprare a buon prezzo beni e servizi dello Stato, ci sono sempre grandi banche e grandi investitori.

La teoria liberista dice che questo dovrebbe migliorare la qualità di beni e servizi, diminuire i prezzi, migliorare le condizioni di vita della collettività. La pratica liberista dice l’esatto contrario.

Io so già chi voteremo alle prossime elezioni, e sarà il signor Mario Monti, anche qualora Mario Monti non si candidi affatto.


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